Mario Giordano, ospite di Paolo Del Debbio a Dritto e rovescio, su Rete 4, nella puntata del 15 giugno, parla dell’inchiesta sulle borseggiatrici rom: “È ora di finirla di dire che si ruba per necessità, molto spesso dietro i furti dei rom c’è una organizzazione criminale, che usa le situazioni di illegalità per organizzare l’illegalità”, tuona il conduttore di Fuori dal Coro.
“Le situazioni di illegalità, i campi rom, le case occupate, sono luoghi di cui si servono per coprire organizzazioni strutturate come quella che avete raccontato voi”, prosegue Mario Giordano. Che osserva ancora: “Quindi non è una cosa occasionale, non è la necessità, ma è la volontà, la scelta, l’organizzazione, l’imposizione spesso ai bambini e alle donne, con la violenza, di esercitare attività criminali”.
Il capo dei mercenari del gruppo Wagner, Evgeny Prigozhin, è ormai un
ex fedelissimo di Vladimir Putin. I suoi attacchi ai vertici militari
russi vanno di pari passo con le rivendicazioni per le sue milizie. Ma
il cuoco di Putin, come era stato soprannominato per le sue attività
nella ristorazione, punta al Cremlino, a diventare lui stesso
presidente. Non attraverso normali elezioni, spiega un articolo del
Giornale, ma il duello di potere tra Putin e il suo ex fedelissimo
“potrebbe comunque arrivare a una conclusione, potenzialmente fatale per
uno dei contendenti, entro i primi di luglio”.
La data da segnare è quella del primo luglio, Putin ha ordinato di
persona al capo di Wagner di “regolarizzare” il gruppo mercenario che
opera in Ucraina (oltre che in Africa e in altri scenari) e
irreggimentarli nelle forze armate russe. Pigozhin ha rifiutato e lo
scontro sembra inevitabile.Da Mesi il capo di Wagner spara a zero sui
vertici militari russi e in particolare con il ministro Shoigu, a capo
delle operazioni in Ucraina. Ma gli ultimi successi dei russi nella
guerra portano tutti la firma di Prigozhin. Ora “si è trasformato in un
ambizioso e vociferante rivale anche politico del Numero Uno”, si legge
nell’analisi che ricorda come recentemente siano comparsi manifesti che
mostrano Prigozhin nelle vesti di candidato presidenziale.
Dopo
nove giorni di ricovero per «un intervento di laparotomia e plastica
della parete addominale», Francesco lascia il policlinico
CITTÀ DEL VATICANO Questa mattina, di buon’ora, Papa Francesco è uscito dal Gemelli dopo
nove giorni di ricovero per proseguire la convalescenza in Vaticano, a
Casa Santa Marta. Era stato ricoverato il 7 giugno per «un intervento di laparotomia e plastica della parete addominale». Da mesi pativa dolori ricorrenti e sempre più intensi. All’uscita dal policlinico Francesco è stato circondato dalla folla in attesa per salutarlo.
Lunga convalescenza
Si trattava di rimuovere un «laparocele incarcerato», un’ernia
che si era formata sulla cicatrice di un intervento precedente: non
quello di due anni fa al Gemelli per l’asportazione di un tratto del
colon, hanno detto i medici, ma un’operazione del 1980 alla cistifellea per una «cancrena della colecisti», raccontò lo stesso Bergoglio. La convalescenza, del resto, è appena iniziata e non sarà breve. Alla vigilia dell’intervento, dopo una Tac, era stato Francesco a decidere: «Mi opero domani, così posso rispettare i miei impegni».
Nella sala stampa di Palazzo Chigi, tornata a disposizione dell’esecutivo e dei giornalisti dopo i lavori durati due anni, molto ruota attorno a Carlo Nordio, ministro della Giustizia, e protagonista del giorno. Prima d’illustrare i contenuti approvati in Cdm, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ricordato la figura di Silvio Berlusconi, rimarcando come il Cdm abbia voluto onorare la figura del fondatore del centrodestra. E Berlusconi voleva la riforma della Giustizia in senso garantista, un caposaldo del programma elettorale della coalizione. «Giustizia giusta per ogni cittadino. Sarebbe soddisfatto se potesse essere qui ad ascoltare le parole del ministro Nordio», ha chiosato Tajani, citando l’ex leader azzurro. Il tratto segnante della novità normativa è dunque il garantismo. Il Guardasigilli aveva già esposto l’orientamento del testo a SkyTg24, nel corso di un’intervista mattutina. «Quel che è patologico in Italia è che molto spesso la politica abbia ceduto alle pressioni della magistratura sulla formazione delle leggi. Non è ammissibile, il magistrato non può criticare le leggi come il politico non può criticare le sentenze. È un principio elementare della divisione dei poteri», aveva detto. Un principio declinato nel pratico con le misure. Il ddl Giustizia è stato approvato all’unanimità. Nordio, dopo essersi detto commosso per la scompara del Cav, ha spiegato come il lavoro a queste novità duri ormai da sei mesi. «L’unico rammarico è che una persona di grande spessore politico, che ha segnato la storia del Paese, non abbia potuto assistere al primo de tanti passaggi che avremo per realizzare quella che lui chiamava giustizia giusta», ha fatto presente il Guardasigilli. «Il reato d’abuso d’ufficio viene abrogato e viene eliminata la cosiddetta paura della firma», ha premesso Nordio, che poi ha spiegato come sulle intercettazioni si sia intervenuto soprattutto per la «tutela del terzo». «La normativa che abbiamo introdotto impedisce la pubblicazione di chi viene citato durante queste intercettazioni», ha spiegato. Per Nordio, l’abuso attuale delle intercettazioni, è definibile un «imbarbarimento». E sulla custodia cautelare interverrà un «organo collegiale». Perché il «carcere dev’essere l’eccezione dell’eccezione». Poi il capo di Dicastero si sofferma sull’aumento dei magistrati. E in contemporanea sull’accelerazione dei concorsi ottenuta attraverso una norma specifica.
Milano. «Non parteciperemo alla beatificazione di Berlusconi. Il
pensiero dovrebbe andare alle vittime già accertate dell’ennesimo
naufragio in Grecia». È Elly Schlein, segretaria del Pd, a scandire
queste parole. Ventiquattro ore dopo il funerale di Stato di Silvio
Berlusconi, per il quale sembrava fosse stata siglata una tregua, torna a
riaccendersi la polemica sulla decisione del governo Meloni di indire
per l’ex premier il lutto nazionale. Non ci sta la segretaria dem che
ieri da Milano ha dichiarato di non poter dimenticare «cosa ha
significato la stagione del suo governo per questo Paese, le leggi ad
personam, il conflitto d’interesse, la mercificazione di tutto, dalla
compravendita dei senatori alle battute sessiste». E ancora, pur
rivendicando la decisione di partecipare ai funerali di Stato celebrati
in Duomo, di aver «portato il rispetto che si deve davanti alla morte,
anche del tuo più acerrimo avversario. Ma è una forzatura inopportuna
chiedere tre giorni di lutto nazionale, perché non si erano mai fatti
per altri presidenti del Consiglio». Schlein spiega di aver abbracciato
la politica proprio «in contrapposizione al berlusconismo e a quello che
ha significato». E precisa ancora che il lutto nazionale andrebbe
riservato a personalità «non divisive, come i capi dello Stato, persone
che hanno unito la Repubblica e che hanno incarnato i valori
costituzionali». Tutte caratteristiche, prosegue Schlein, «non
corrispondono a Berlusconi».
La replica dai forzisti ancora in
lutto non si è fatta attendere: la prima è stata Licia Ronzulli, ex
pupilla del Cav che ha accusato Schlein di «mancare di rispetto al
presidente anche dopo la sua morte». E aggiunge che la decisione del
governo è stata «sacrosanta». Per la capogruppo azzurra al Senato –
sulla cui presidenza a Palazzo Madama pende un grande punto
interrogativo – ha accusato ancora la sinistra di «avere come unico
programma quello di demonizzare Berlusconi usando ogni pretesto».
La
visita a Milano della segretaria dem, che per nulla si è fatta
intimidire dalla polemica con i forzisti, è stata anche l’occasione per
tornare su alcuni temi dell’attualità politica: a partire dalla riforma
della Giustizia, il cui testo è stato portato nel Consiglio dei Ministri
ieri sera. «La montagna ha partorito il topolino: dalle bozze che
abbiamo visto e rispetto agli annunci, alcune scelte potrebbero ottenere
addirittura degli effetti contrari a quelli dichiarati», ha commentato,
ribadendo la sua contrarietà e quella del partito all’abolizione del
reato di abuso d’ufficio. La segretaria però non chiude la porta a una
possibile discussione sul testo: «L’Ue sta per approvare una direttiva
anticorruzione che chiede uno strumento di quel tipo. Siamo però
dell’idea che si possa riformare la fattispecie (cioè modificare
l’insieme degli elementi costitutivi del singolo reato, ndr) per evitare
alcuni effetti distorsivi. Un conto è la riforma, su cui possiamo
ragionare, altro è l’abrogazione tout court, che renderebbe ancora più
difficile negoziare il Pnrr. Quindi sarei molto cauta».
ROMA. La senatrice Giulia Bongiorno, plenipotenziaria della
Lega in materia di giustizia, fino all’ultimo ha remato contro la secca
abolizione del reato di abuso d’ufficio. Alla fine è andata
diversamente. E ora dice: «È pacifico che un cambiamento fosse
necessario. Il terrore della firma da parte di sindaci e pubblici
amministratori è sicuramente un problema. Il ministro Nordio mi ha
garantito che ci sarà una rivisitazione complessiva dei reati contro la
pubblica amministrazione e non ho motivi per dubitare della sua parola».
La senatrice teme infatti che l’abolizione del reato potrà avere come
contraccolpo che le procure procederanno con altri reati, pure più
pesanti, ad esempio il peculato per distrazione.
Era davvero necessario, questo intervento? «Quando
per ogni firma si deve chiedere il parere all’avvocato, abbiamo una
pubblica amministrazione paralizzata e timorosa. Il che evidentemente
non è sinonimo di efficienza».
Lei era per una riscrittura del reato piuttosto che per un’abolizione. «Il ministro sostiene che è stato riscritto più volte, ma il problema non è stato mai risolto».
Perché, secondo lei è così importante riscrivere i reati contro la Pubblica amministrazione? «Venuto meno l’abuso che ha dato pessima prova, occorre evitare rischi di interpretazioni estensive di altri reati».
Quelli che anche l’Anm ipotizza. Finirà che i magistrati useranno altri reati per portare avanti le indagini? «Purtroppo
non si può escludere. Ecco perché è auspicabile una riforma organica
dei reati contro la Pubblica amministrazione. Considero l’abrogazione
dell’abuso d’ufficio un punto di partenza e non di arrivo».
Il
Guardasigilli ha appena replicato al procuratore di Catanzaro, Nicola
Gratteri, che sarebbe un «sacrilegio» se un pm procedesse utilizzando
strumentalmente altri reati dopo questa abolizione. «Il “sacrilegio” di cui parla il ministro è quel che anche io temo. La speranza è che i timori siano infondati».
Il pacchetto Nordio è molto eterogeneo. Possiamo parlare di riforma della giustizia? «È
solo il primo passo di un percorso riformatore che attueremo nel corso
della legislatura. Complessivamente è all’insegna del garantismo, della
efficienza del sistema, e della tutela della riservatezza. Mi trova
pienamente d’accordo».
L’abisso
dell’Europa è nelle parole prive di pietas e prive di senso che sa
pronunciare all’indomani di una tragedia come quella di Pylos. Ci sono,
secondo tutti i testimoni, 600 persone che mancano all’appello: erano
partite dall’Egitto, transitate dalla Libia, arrivate nel mar Egeo. La
barca su cui erano stipate non è stata soccorsa in tempo, anche se – è
un copione già visto – un aereo di Frontex l’aveva avvistata, la Guardia
Costiera di Atene era stata allertata.
C’erano, anche questo
lo dicono tutti i testimoni, bambini e donne chiusi – chiusi – nella
stiva. Cento bambini, quaranta bambini, di nulla si ha certezza tranne
che in tantissimi erano lì e adesso non ci sono, tra i superstiti. Non
ci sono né donne né bambini, tra i sopravvissuti di un barcone che si è
inabissato e che nessuno pensa neanche più a cercare. A Kalamata, nel
Peloponneso che è meta di viaggi da sogno, ci sono ombre che si aggirano
con fotografie plastificate in mano e chiedono: “È mio fratello,
qualcuno lo ha visto”. Sono palestinesi, siriani, egiziani, pachistani.
Fuggivano per salvarsi e l’unica cosa che la fortezza Europa sa dire è:
“Non dovete partire”. Senza sforzarsi neanche un istante di immaginare
vie legali che possano mettere fine a tutto questo. E quindi è qui,
l’abisso: mentre i militari greci controllano a vista il campo in cui
sono stati portati i salvati, mentre il conto dei cadaveri continua –
78, per ora – Giorgia Meloni incontra il premier maltese Robert Abela e
dice con linguaggio burocratico: «Abbiamo convenuto che senza una
adeguata difesa dei confini esterni dell’Ue diventa molto più difficile
parlare di movimenti secondari». Bisogna pensare ai “movimenti primari”,
su questo Italia e Malta sono d’accordo, e così sappiamo che insieme
hanno lavorato «per cambiare il punto di vista della commissione Ue».
Si
parla di flussi migratori, ma la tragedia di Pylos non merita neanche
una dichiarazione a latere. È una delle peggiori di sempre, ricorda
quella del 3 ottobre 2013, quando davanti all’Isola dei Conigli ci
furono 368 morti. O quella del 2015, quando a inabissarsi nel canale di
Sicilia, a sud di Lampedusa, fu un barcone con a bordo tra le 700 e le
950 persone. E i sopravvissuti furono solo 28. Parliamo di numeri
simili, forse maggiori, ma per l’Europa è come fosse ordinaria
amministrazione. Il portavoce della commissione europea fa sapere che
Frontex non può fare che segnalare alle autorità competenti. E quindi, è
il sottotesto, “che volete da noi?”. La commissaria agli Affari interni
Ylva Johannson, che pure difende l’operato delle Ong che salvano vite
in mare (le stesse che il governo italiano ostacola), si limita a dire:
«Penso che questo naufragio sia il segno del fatto che la nostra
politica migratoria al momento non funziona bene». Si direbbe un
eufemismo, se ci si potesse prendere il lutto di essere ironici davanti a
una tragedia.
Gli azzurri vanno avanti dopo la
perdita del leader Silvio Berlusconi. Si avvia l’iter congressuale e nel
frattempo la guida sarà affidata al vicepremier
La prima notizia è che Forza Italia va avanti. Non implode, non si scioglie, né formalmente, il che sarebbe impossibile a pochi giorni dalla morte del leader, ma nemmeno sostanzialmente. Nei giorni in cui ad Arcore hanno reso omaggio all’ex premier nella camera ardente,
i big del partito infatti hanno avuto l’assicurazione dalla famiglia
Berlusconi che l’avventura può proseguire, con il loro appoggio
sentimentale e anche economico. Per il momento, senza la presenza diretta di qualcuno dei familiari, ma in futuro chissà. In ogni caso, il mondo berlusconiano più stretto resta a cavallo. E manterrà un ruolo cruciale.
Questo passaggio era essenziale per dare il via al secondo: nominare una nuova guida provvisoria. Che sarà l’attuale vice presidente e coordinatore Antonio Tajani, che ieri ha avuto anche la notizia di una crescita di oltre due
punti di FI nei sondaggi nonché un nuovo endorsement del Ppe. È lui che
assumerà perlomeno la reggenza del partito fino ad un congresso che si terrà nei prossimi mesi, con ogni probabilità non prima del 2024.
Ed è proprio per dare questi segnali e illustrare ogni fase del
prossimo futuro che oggi alle 12 nella sede di FI a Roma lo stesso
Tajani, i capigruppo Barelli, Ronzulli e Martusciello in rappresentanza
degli europarlamentari — tutte le anime del partito insomma, una accanto
all’altra — terranno una conferenza stampa.
Una forma di rassicurazione per
parlamentari ed eletti sul territorio, agitatissimi e preoccupati per il
futuro, un modo per evitare appunto che il panico possa provocare un
esodo che non serve a nessuno. Nemmeno a Giorgia Meloni.
«Noi abbiamo tutto l’interesse che ci sia un partito in salute in
Italia che fa riferimento al Ppe. Il centrodestra è più forte se
mantiene le sue anime diverse ma unite», dice il fedelissimo della
premier Giovanbattista Fazzolari.
Quindi, oltre alle iniziative che
verranno messe in campo (tra cui due giorni di tesseramento il 24 e 25
giugno in tutta Italia), verrà illustrato il cammino: come prevede lo
statuto del partito, in caso di «impedimento permanente del leader» viene al più presto convocato un Comitato di presidenza che a sua volta convoca il Consiglio nazionale per indicare il nuovo presidente, che sarà reggente fino allo svolgimento del congresso.
Fermati nove scafisti egiziani. Le
salme recuperate sono 78, centinaia i dispersi. Il medico dell’ospedale:
«Tra i 104 sopravvissuti c’è chi ricorda molti minori sottocoperta»
DAL NOSTRO INVIATO ATENE
— La notte non porta nuovi sopravvissuti.
Non porta neppure altri corpi di morti (per ora 78). L’alba illumina
soltanto voci d’altra disperazione. Dei 104 messi in salvo, una trentina
sono in ospedale. Una dozzina passano l’intero pomeriggio sotto
interrogatorio negli uffici della guardia costiera: nove, in serata,
finiscono in arresto, accusati di far parte dell’equipaggio al comando
del peschereccio affondato. Sono tutti egiziani. Il comandante sarebbe riuscito a scappare nel pomeriggio prima del naufragio, ma non ci sono conferme della testimonianza raccolta dagli attivisti di Alarm Phone.
Gli altri salvati, gli innocenti, sono rimasti in un silos d’acciaio
azzurrognolo nel porto di Kalamata, Peloponneso sud-occidentale, prima
di venire trasportati (tra ieri sera e oggi) in una struttura di
accoglienza a Malakasa, non lontano da Atene.
Tre giorni in mare
Sono gli unici sopravvissuti (tutti uomini) al naufragio del peschereccio che s’è ribaltato a 80 chilometri dalla costa greca nella notte tra martedì e mercoledì. Secondo le testimonianze raccolte dalla polizia, avrebbero pagato tra i 4 e i 7 mila dollari per il viaggio,
e sarebbero partiti dalla Libia orientale, zona di Tobruk, Cirenaica,
il 10 giugno. Quando è scattato l’allarme, erano dunque in mare già da
tre giorni, con poca acqua e pochi viveri. Tre giorni in cui il
peschereccio ha avuto due guasti al motore, riparati in qualche modo da
chi era al comando. Fino alla rottura definitiva, nel pomeriggio di
martedì, e l’inizio della lenta deriva, a 45-50 miglia nautiche da
Pylos.
«Non si trova nessuno»
Una soccorritrice dell’Hellenic rescue team racconta: «I sopravvissuti hanno fame, sete. Cercano di farsi capire a gesti». Anche loro, cercano i dispersi. «Sono in totale stato di choc — racconta ieri all’agenzia Ap
Erasmia Roumana, capo delegazione dell’agenzia delle Nazioni Unite per i
rifugiati — Chiedono di potersi mettere in contatto con le famiglie. E
continuano a chiedere dei dispersi. Sul peschereccio avevano amici,
parenti, figli. E di tutte queste persone che mancano, non si trova
nessuno». Un ragazzo egiziano, di fronte alle telecamere, implora un
aiuto per ritrovare il cugino, che era a bordo con lui. Soprattutto, non
si trovano i bambini.
I bambini mancanti
Dicono
che ce ne fossero molti, nella stiva. Almeno 50, forse 100. Le stime
ipotizzano, in totale, 750 migranti a bordo. Considerato che le persone
in salvo sono 104, il numero delle vittime potrebbe essere enorme, più
di 600. In ospedale a Kalamata ieri mattina c’erano ancora 29 persone. Manolis Makaris,
cardiologo, ha parlato dello stress dei ricoverati, e soprattutto di
chi chiama per sapere se ci siano bambini: «Per tutta la notte mi hanno
mandato foto di minori per scoprire se sono stati salvati. Alcuni
sapevano che c’erano bambini nella stiva». Quanti? «Ci sono
testimonianze diverse, alcuni dicono 50, altri 100, nessuno di loro può
sapere con precisione chi ci fosse sottocoperta».
Tante versioni
I magistrati greci hanno aperto un’inchiesta.
L’organizzazione Alarm Phone fornisce una ricostruzione dettagliata dei
contatti col peschereccio, tra le 14.17 e le 20.05 di martedì, quando
la barca già in mattinata viene comunque individuata da un aereo
dell’agenzia Frontex, e avvicinata da almeno sette imbarcazioni, tra qui
lo yacht che trasporterà i sopravvissuti, il mercantile Lucky Sailor
che riesce a fornire acqua, alcune vedette della guardia costiera greca
che, secondo la versione delle autorità elleniche, avrebbero ricevuto
due informazioni: il peschereccio non era in imminente pericolo e le
persone a bordo intendevano proseguire verso l’Italia. Versioni che
potrebbero essere smentite, e che sono ora al centro delle polemiche
internazionali. Ha detto l’ammiraglio della guardia costiera greca in
pensione Nikos Spanos: «La nave era un cimitero galleggiante,
una barca molto vecchia. Di solito donne e bambini in tali viaggi li
mettono sul fondo. Li bloccano in modo che non possano muoversi. Il
ministero della navigazione è stato informato tramite Frontex. L’Italia
ci ha “affidato” l’incidente poiché si stava svolgendo nella nostra
zona. La nave era in difficoltà. In un caso del genere, lo stato greco
doveva agire immediatamente. Far partire il piano operativo, le barche
di soccorso dovevano precipitarsi nell’area».
Il Pil di Roma non dipende solo
dal turismo: la contrazione tra il 2019 e l’anno del Covid è stata solo
dell’8%. Ecco come la Capitale ha salvato la sua ricchezza economica
Roma è la capitale amministrativa e
politica d’Italia, Milano è la capitale economica. Questa è una delle
espressioni più abusate per descrivere la differenza che c’è tra le due
città e, osservando i rispettivi redditi, l’affermazione suona reale e
non tanto qualunquista. Secondo i dati del ministero dell’Economia e delle Finanze riguardanti la dichiarazione dei redditi 2022 (anno fiscale 2021), il reddito medio a Roma (considerati i redditi da lavoro e non quelli da immobili) è stato di 25.990 euro, inferiore a Milano di poco più di 10.000 euro.
Tuttavia, Roma si è mostrata una città solida
che ha saputo resistere al colpo della pandemia e delle chiusure
dimostrando di non essere solo una città d’arte che vive di turismo. La
diversità della sua economia ha fatto in modo che la contrazione di reddito tra il 2019 e il 2020 sia stata di soli 228 euro, inferiore ad altre città d’arte come Venezia (-1.394 euro) e Firenze (-799 euro).
Il reddito nei quartieri di Roma
Il reddito medio più alto è dichiarato nel Cap 00197 di 72.090 euro che corrisponde ai Parioli,
il quartiere dell’alta borghesia romana e dei palazzi in stile
neoclassico. La zona supera di cinque mila euro il Cap 00187 che
comprende le vie che vanno da via del Corso a Barberini e via Veneto, dove il reddito medio è di 67.045 euro.
Il resto dei redditi dichiarati nelle zone centrali di Roma si spingono al di sotto dei sessanta mila euro. Nel quartiere che va da Corso d’Italia e corre lungo Corso Trieste (Cap 00198) il reddito medio è di 59.470 euro. Segue il Cap 00186 con 59.103 euro che comprende l’area di Montecitorio e Palazzo Madama e si estende fino al Circo massimo costeggiando il fiume Tevere; nel Cap 00193 al confine con lo Stato del Vaticano nella zona di Piazza Cavour e Castel Sant’Angelo il reddito medio è di 56.082 euro; ultimo Cap al di sopra dei cinquantamila euro è lo 00191 che corrisponde a Tor di Quinto-Corso Francia con 51.553 euro.
Le zone più povere sono al di là del Raccordo Anulare
Man mano che ci si sposta verso e oltre il Grande Raccordo Anulare, i redditi diminuiscono escluse alcune aree come i Cap attraversati dalla Colombo (la
Via del Mare) dove ci si attesta tra i 25mila euro e i 32 mila euro. I
Cap oltre Raccordo più poveri sono 00132 con 19.043 euro e 00133 con
18.970, due zone nella parte est di Roma corrispondenti a Tor Vergata, Tor Bella Monaca e Rocca Cencia-Villaggio Prenestino.
Osservando i dati salta all’occhio la situazione economica in cui vivono i contribuenti del Cap 00119 dove si trova Ostia Antica. Qui il reddito medio è di 16.392 euro e ben il 52,91% vive con un reddito annuo che va da 0 a 10.000 euro.
2)
Ci si rende conto che c’è qualcosa che non
va. Molto probabilmente si tratta di un errore del Mef perché i
contribuenti sono 29.715 mentre i residenti circa 10.500.
Roma ha superato la crisi economica: ecco perché
Così
come Milano anche Roma ha superato il periodo della crisi economica
provocata dalla pandemia da Covid-19. La mappa qui di seguito mostra l’aumento dei redditi che c’è stato tra il dichiarato nel 2019 e nel 2021.