Renzi deve giocare in difesa: adesso Gentiloni gli fa paura
Anno di grazia duemiladiciassette e per Matteo Renzi è quello che viene dopo la caduta. Questi sono giorni in cui un leader sconfitto e disorientato deve fare i conti con le proprie ambizioni.
Prendere atto. Ricalcolare. Ridefinire. Ricominciare. Da dove? Lo raccontano così, convinto di riprendersi tutto, ma costretto in questa stagione a cambiare stile di gioco. È lui stesso che si lascia andare a metafore calcistiche. Non è più tempo, purtroppo, di giocare a zona. Non c’è più il possesso palla. Questo al momento significa rinunciare all’idea del partito della nazione, che voleva dire allargare l’area politica del renzismo, controllare le casematte del potere e costruire una leadership sfacciata che pressa e annichilisce gli avversari. Ora Matteo deve imparare l’arte di vivere in difesa. Non gli viene naturale. Non è nel suo carattere, perché significa lasciare spazio agli altri, farli venire avanti, avere costanza e pazienza nel tenere le posizioni e avere il tempismo giusto per sfruttare le occasioni che si presentano. Meno arroganza e più senso della posizione. È il destino che tocca a chi è sicuro di sé quando conosce la polvere e si sorprende davanti alle prime crepe. Vuol dire invecchiare. O maturare. È una tattica antica e si può sintetizzare come catenaccio e contropiede. Ma per ragioni di marketing ci si può anche ispirare a quello che sta facendo Conte il Chelsea. Il succo non cambia. L’obiettivo è coprirsi le spalle e poi ribaltare la situazione alle prossime elezioni. Il problema è arrivarci, politicamente vivo.
Quello che in questi casi ti frega è la paura. La paura ti fa sbagliare i tempi, crea smania, finisci per confondere amici e avversari. La prima scommessa di Renzi sarà riuscire a fidarsi dell’altro, di chi gli sta accanto. L’altro ha un nome e un cognome: Paolo Gentiloni. L’attuale premier non può essere semplicemente un prestanome (è la tentazione di Matteo). È un uomo che raccontano leale e che prova a incarnare il progetto politico renziano. È una spalla, non una minaccia. Il problema è la capacità di Gentiloni di smussare gli spigoli, di rassicurare, di non essere uno che divide ma con cui ragionare. In pratica ha una predisposizione ad aggregare. Avere a che fare con lui rende tutto più sereno: in Europa, nel Pd, nella maggioranza, nei rapporti con le opposizioni. È amico di Mattarella. Non è cosa da poco. È al momento più centrale di Renzi come interprete del progetto renziano. Non è facile lasciare spazio ai secondi. Non è da Renzi. Imparerà?
Gentiloni lavora per dare a Renzi l’architrave della sua riscossa e vendetta politica: il Mattarellum o perlomeno qualcosa che gli assomigli. Matteo ha assoluto bisogno di una legge elettorale che conservi una vocazione maggioritaria. Se passa il proporzionale puro rischia di passare alla storia come una meteora. Non è solo una questione di governabilità o di arrivare alle elezioni con un sistema che renda probabile stallo e pareggio. Renzi funziona come leader politico nell’uno contro uno, in un mondo binario, da testa o croce, senza variabili e con probabilità ristrette. È nel suo carattere e nella sua storia. È il gioco dei sindaci (e dei troni). È un gioco dove la velocità è fondamentale. Matteo il percorso per la rivincita lo ha già disegnato. Nuova legge elettorale, a maggio il G7 con Gentiloni premier e a giugno le elezioni. Non sarà facile. Se i tempi saranno più lunghi deve pregare per un’inattesa ripresa economica. Ma qui c’è il paradosso che non lo tiene sveglio. Ma se l’Italia di Gentiloni è meno buia perché non candidare lui? Perché candidare l’uomo della sconfitta e non quello della ripresa? Ecco il nodo delle paure di Matteo Renzi.
IL GIORNALE