Incinta con dolori, niente ricovero Torna dopo due ore e il bimbo muore

di Simona Ravizza

Il suo nome sarebbe stato Jonathan. Ma poco dopo l’1.30 di ieri notte i medici dell’ospedale Vizzolo Predabissi di Melegnano, alle porte di Milano, capiscono che per lui non c’è più nulla da fare. Il bimbo è morto nel grembo della madre, verosimilmente soffocato dal cordone ombelicale intorno al collo. Il cesareo d’emergenza non è bastato per salvarlo. Ma è possibile morire così nel 2017? Il parto non avrebbe potuto essere anticipato? È quello che si chiedono nelle ultime ore, tra le lacrime, Simona Othman, 33 anni, mamma del piccolo mai nato, e la sua famiglia, che ha sporto denuncia alla stazione dei carabinieri di Melegnano.

I primi dolori

La nascita era prevista per il 18 gennaio. Ma la sera del 2, intorno alle 16.15, Simona inizia ad accusare forti dolori addominali, tanto da farsi accompagnare dal compagno Romano Ciardello al Pronto soccorso. Da lì la donna viene dimessa dopo un paio d’ore, una visita ginecologica e la rassicurazione che tutto è a posto. Intorno alle 20, però, è costretta a tornare in ospedale perché ai dolori si aggiungono delle perdite di sangue. Stavolta Simona viene ricoverata e, dopo una serie di controlli, i dottori decidono di anticipare il parto: «Il bimbo — le viene detto — non sta più bene in pancia». Inizialmente, l’idea è di procedere per vie naturali: così a Simona viene fatta l’epidurale.

La decisione: il parto cesareo e il bambino che non ce la fa

Ma a un certo punto i monitor iniziano a registrare che il battito cardiaco del bimbo è troppo flebile, di qui la decisione di procedere con il cesareo d’emergenza. Nel frattempo sono stati persi minuti preziosi? Un intervento più rapido avrebbe potuto salvare il piccolo? Perché solo poche ore prima l’avevano dimessa dall’ospedale? Ora sulla dinamica degli eventi dovrà fare chiarezza la Procura di Lodi che ha aperto un’inchiesta. Sono già stati posti sotto sequestro sia le cartelle cliniche sia il feto. L’autopsia sarà eseguita nei prossimi giorni.

«Ora cherchiamo la verità»

I genitori del bimbo non riescono a capacitarsi di quel che è successo: la gravidanza è proseguita nel migliori dei modi, il piccolo era sano. Oltretutto Simona, impiegata e di casa a Merlino (a una ventina di minuti da Melegnano) — ora sotto l’effetto di sedativi, distrutta dal dolore — ha un legame speciale con il Vizzolo Predabissi, perché è l’ospedale in cui lei stessa è nata. «Vogliamo sapere se ci sono delle responsabilità e quali — dicono gli avvocati Antonino Gugliotta e Simone Briatore —. Faremo di tutto per accertarlo». Lo stesso ripetono i familiari: «Nulla ci potrà restituire il piccolo Jonathan. Ma cerchiamo la verità».

CORRIERE.IT

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