Cona, parla Nordio: “Non possiamo escludere infiltrazioni di tipo terroristico tra i migranti”

dal nostro inviato FABIO TONACCI

VENEZIA. “La rivolta del centro migranti di Cona è stato un brutto sintomo, e di questi tempi non si può nemmeno escludere che possano esserci delle infiltrazioni di tipo terroristico”. Parla Carlo Nordio, il procuratore aggiunto della procura di Venezia che sta seguendo, insieme col pm Lucia D’Alessandro, l’inchiesta sulla morte della 25 enne ivoriana Sandrine Bakayoko e sui tafferugli che ne sono seguiti, culminati con il sequestro durato qualche ora di una trentina di operatori della coop Edeco.

In che senso è un brutto sintomo?
“All’inizio sembrava che la ragazza fosse morta dopo 5 ore di agonia senza essere soccorsa, e questo avrebbe potuto far comprendere la reazione scomposta degli ospiti del centro. Invece tutti, all’interno del campo, avevano capito fin da subito che Sandrine non era stata abbandonata, nonostante ciò hanno continuato la protesta. Sospettiamo dunque che ci siano soggetti che già da prima dell’episodio del decesso menavano nel torbido”.

Ma il terrorismo cosa c’entra?
“Un’indagine fatta bene su un tessuto sociale come quello di un centro di accoglienza sovraffollato con 1.300 migranti, deve partire dal presupposto che ci possano essere anche infiltrazioni di tipo terroristico e para-terroristico. Venezia, oltrettutto, è un obiettivo sensibile. Ho dato delega alla Digos per fare tutti gli accertamenti su tutti i richiedenti asilo che hanno partecipato ai tafferugli, in modo da escludere ogni legame, anche remoto, col mondo del jihadismo. Se non troveremo niente, tanto meglio. Lo facciamo nella filosofia dell’avanzamento della linea di difesa e della prevenzione”.

Al momento quante persone avete identificato?
“Una ventina. Non sono formalmente indagate, ma su di loro stiamo lavorando”.

Avete scoperto qualcuno particolarmente esperto nel gestire rivolte e tensioni come quelle scoppiate lunedì scorso?
“No, non c’era e non c’è un’organizzazione dominante all’interno della ex base di Cona. Non abbiamo trovato nemmeno un capo, un leader. Ma proprio il fatto che esistano gruppetti slegati tra di loro, ciascuno con una filosofia propria e un modo diverso di porsi nei confronti dell’autorità, lascia aperta ogni possibilità”.

E perché?
“Alcuni sembrano molto pacifici e interessati a vivere nella legalità accettando le regole dell’accoglienza, altri appaiono più violenti e fomentatori. I primi sono collaborativi, i secondi no. Dobbiamo capire perché”.

Il microcosmo interno del campo di Cona pare spaccato in due, tra angolofoni e francofoni. E’ così?
“A grandi linee sì, ma la situazione è più articolata. Gli appartenenti ai gruppetti rivali, tra l’altro, si sono accoltellati tra loro”.

Ma vi risulta che tra i facinorosi ci sia qualcuno che nel proprio Paese d’origine ha partecipato a conflitti o guerriglie?
“Quando un investigatore si trova ad avere a che fare con un flusso migratorio imponente che proviene da vari Paesi, alcuni dei quali in guerra, deve sospettare il peggio. Va fatta un’attenta opera di screening: non possiamo certo arrestare tutti in maniera sommaria, come vorrebbero alcuni giornali. La responsabilità penale è personale”.

Nell’indagine sulla rivolta ipotizzate reati quali sequestro di persona, danneggiamenti e violenze personali. Sulla morte di Sandrine?
“Quel filone sarà chiuso presto, perché è certo che la ragazza sia morta per un evento naturale, ed è certo che non ci siano stati né omissioni né ritardi nel soccorso”.

REP.IT

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