Alberto Angela: “Mio padre Piero? Sono cresciuto con le sue storie, è il mio Salgari”
ROMA. “Da piccolo disegnavo dinosauri e uomini preistorici, come tutti i bambini. Solo che io ho continuato a farlo. Ho trasformato la mia passione in lavoro”. Alberto Angela, divulgatore dei record, sei milioni di spettatori con lo speciale su San Pietro trasmesso da Rai1, l’uomo più sexy per il web, sembra un alpinista: maglione turchese a coste inglesi, scarponcini, si racconta nella redazione di Ulisse, il programma di Rai3 che torna a marzo.
La conversazione prevede ampie parentesi su squali, dinosauri, preziose ossa sbriciolate, sabbie mobili, formiche legionarie. Gli anni da ricercatore lasciano il segno, Indiana Jones è secchione (ma non lo direbbe mai), parla di tutto con naturalezza. D’altra parte lo stile è quello paterno, educazione e sobrietà, se non fosse per la svolta sexy – che lo imbarazza un po’ – coronata da una spudorata pagina Facebook sulla sua virilità. “Mi sono messo a ridere. L’aspetto sexy mi ha sorpreso: se può servire alla cultura va bene, rimanendo nel buongusto e nel buon senso”.
Nato a Parigi nel 1962, cresciuto a Roma studia allo Chateaubriand. Riservato, gran nuotatore (“Mi rilassa”) tre figli con cui va al cinema (“Adoro Clint Eastwood”), confessa di essere stato ispirato dai racconti del padre Piero Angela, volto del Tg1, inviato di guerra e corrispondente; da 35 anni il divulgatore più amato dal pubblico. “Abbiamo fatto tanti viaggi in famiglia”, racconta Alberto, “ma le storie più belle erano quelle di papà, le sue avventure: ascoltarlo era un po’ come leggere Salgari. Ha cominciato che non c’era la televisione ed è ancora in prima serata: è un patrimonio”.
Voleva fare il giornalista anche lei?
“No. Mi sono laureato in Scienze naturali a Roma e ho seguito corsi ad Harvard, alla Ucla e alla Columbia. Lo sa che Plinio il Vecchio e Leonardo erano naturalisti? La scienza è regina della conoscenza: puoi spaziare dalle conchiglie alle galassie”.
Poi però ai libri ha preferito le spedizioni in giro per il mondo.
“Le ricerche sul campo sono fondamentali. Sono stato in Congo, in Tanzania ero impegnato per una fondazione che collaborava con l’università di Berkley, seguivano gli studi sull’uomo preistorico: sono quelli che avevano scoperto Lucy. Poi ho fatto spedizioni in Oman, Etiopia, Mongolia a cercare scheletri di dinosauri, la mia passione, esperienze emozionanti che ti danno una formazione umana oltre che scientifica”.
Faceva una vita da Indiana Jones. Qualche ricordo?
“La tenda assalita dalle formiche legionarie, circondata dalle iene, dagli ippopotami. Siamo stati vittime di un rapimento. Sa cosa vuol dire attraversare un fiume in zattera con un cannibale?”.
Veramente no.
“Ho scoperto che era un cannibale dopo la traversata. Una loro caratteristica è affilarsi i denti a triangolo, tipo quelli dello squalo. Prendo lo zaino, dico una cosa stupida in francese e questo ragazzo sorride: i denti erano appuntiti. Sul momento mi sono sentito a disagio, ma era una persona dolcissima, faceva il pastore”.
Com’è arrivato in tv?
“La tv svizzera mi chiese di spiegare gli scavi, il lavoro del ricercatore. Non avrei mai immaginato di fare televisione. Quei servizi funzionavano, sono diventati un programma, Albatros, che fu mandato in onda da Telemontecarlo: ero sbarcato sulla tv italiana”.
Suo padre che le disse?
“Era guardingo, mi ha sempre detto: “La tv va fatta bene. Devi essere bravo”. Albatros ebbe successo, con papà ci guardammo in faccia: e ora? Così abbiamo cominciato a lavorare insieme al Pianeta dei dinosauri, poi a Ulisse. Più che padre e figlio eravamo colleghi”.
Non le dispiaceva passare per raccomandato?
“Il problema non era mio, ma degli altri: tutto quello che facevo era farina del mio sacco. Ma gli occhi erano puntati su di me, non mi sarebbe stato perdonato niente. Ho sempre saputo che dovevo fare le cose in modo perfetto”.
Però il cognome aiuta, no?
“Sì, ma è un’arma a doppio taglio”.
Video
Come si acquista credibilità?
“Ho avuto la fortuna di cominciare a fare questo mestiere quando non c’era il web. Devi essere irreprensibile dal punto di vista scientifico, non apparire troppo, essere comprensibile, saper parlare a tutti. La telecamera non mente, racconta chi sei. Se al cinema non saprai mai se un attore è simpatico, la tv restituisce la persona. Le basi sono l’educazione e il rispetto del pubblico”.
Suo padre che consigli le ha dato?
“Non mi ha mai detto: “Fai questo” o “Non fare questo”, è lo stesso metodo che uso con i miei figli. Ci sono gli esempi, poi ognuno sale sulla barca a vela e va. La cosa che ho imparato – dote che certamente ha papà – è l’umiltà, l’etica del lavoro. Devi lavorare sodo. Qualitel (l’indice che stabilisce il gradimento del pubblico, ndr) mette ai primi posti i nostri programmi, risultato che mi rende orgoglioso”.
Dal “Pianeta dei dinosauri” a “Ulisse”, da “Passaggio a Nord Ovest” a “Quark” è nato uno stile nel fare divulgazione. Marcorè l’ha presa in giro: le dispiaceva?
“Per Quark andavamo sui siti con l’operatore, per non annoiare mentre racconti le storie, devi per forza muoverti. Non potevo restare fermo, così ho cominciato a camminare gesticolando ed è nata la famosa imitazione di Neri Marcorè che era molto divertente, abbiamo fatto anche servizi in coppia”.
A 54 anni è figlio delle enciclopedie e non del web. Come si conquistano i giovani?
“Quando critichiamo i giovani, penso che siano sfortunati a non aver avuto un’infanzia e un’adolescenza con i tempi morti. Oggi fanno sempre qualcosa, stanno con la testa sullo smartphone. Il professor Veronesi mi disse: “Non c’è più tempo per meditare””.
Dal Museo Egizio di Torino ai tesori di Firenze, a San Pietro: la divulgazione in prima serata ha fatto ascolti altissimi: è cambiato qualcosa?
“La curiosità è la molla di tutto. Il mondo si è ristretto, la paura del terrorismo ci nega di andare a Oriente, in luoghi bellissimi: la tv ci può portare ancora lontano. Col direttore di Rai1, Andrea Fabiano, avevo parlato di Stanotte a… e il progetto è diventato realtà, faremo altri speciali. Quando filmi di notte ti ritrovi a tu per tu con i capolavori, è come fare una visita in esclusiva. Siamo stati tra i primi a usare i droni, l’orgoglio è lavorare con gli interni Rai. Ma con Ulisse gli spettatori ci premiano anche se parliamo di Dna o di batteri. Sono curiosi come me”.
REP.IT