L’ora delle leggi speciali
Il capo della polizia, Franco Gabrielli, è stato chiaro. Nell’intervista che abbiamo pubblicato ieri ha ammesso che l’Italia è stata vicina a subire un attentato islamista e che, prima o poi, nonostante tutti gli sforzi nella prevenzione, toccherà anche a noi.
Aggiungiamo: se finora l’abbiamo scampata è in parte per una scelta strategica delle centrali del terrore, ma anche perché le nostre forze di polizia e i nostri servizi segreti sono tra i migliori al mondo. Apparentemente sgangherati, sicuramente sottopagati e male equipaggiati, i nostri uomini hanno però un’invidiabile esperienza sul campo. Abbiamo combattuto e vinto un terrorismo politico senza eguali in Occidente per diffusione e ferocia, controlliamo e combattiamo ogni giorno tre delle più pericolose organizzazioni criminali del mondo, mafia, ‘ndrangheta e camorra.
Non è insomma facile farcela sotto il naso, ma ciò nonostante corriamo due rischi. Il primo è di pagare, essendo il terrorismo islamico transnazionale, errori e sottovalutazioni di polizie di altri Paesi, come stava accadendo nel caso di Amri, l’uomo della strage di Berlino che ha finito casualmente la sua fuga solitaria alle porte di Milano. Il secondo rischio è che tanta capacità e tanto impegno investigativo naufraghino su una legislazione ordinaria inadeguata a fronteggiare una simile emergenza.
Del resto il nostro codice penale ipergarantista non avrebbe permesso di sconfiggere il terrorismo e neppure di arginare le mafie. Situazioni straordinarie impongono leggi straordinarie e la sospensione di alcuni diritti per le persone sospettate di avere a che fare con l’estremismo islamico. A chi ruba una macchina faccio un esempio banale per consegnarla a chi la trasformerà in un’autobomba non può essere applicata la stessa tenue legge che punisce il furto di vettura. Affrontare questo problema è compito della politica che, impaurita o forse solo distratta dalle solite beghe di partito, è invece lontana anni luce. Nella lotta al terrorismo islamico, l’anello debole non sono i nostri uomini in divisa ma i nostri legislatori e una magistratura che sul tema resta molto ambigua. Più che munizioni, servono regole di ingaggio col nemico molto più efficaci, senza le quali la profezia funesta di Gabrielli si realizzerà con più facilità.
IL GIORNALE