Gli studenti e il valzer delle cattedre In 2,5 milioni hanno cambiato prof
La perdita di alunni
I numeri sono implacabili. E dicono che, nella girandola di cattedre del 2016 «risulta nato nel Mezzogiorno (Sud e Isole) il 78% dei docenti trasferiti (l’82% dei maestri di primaria e il 71% dei professori di scuola media)». Solo due docenti su dieci sono del Nord. Due. Il guaio è che «in meno di vent’anni le scuole meridionali hanno perso mezzo milione di studenti (-14%), mentre quelle del Centro-nord hanno riempito le aule con quasi 800 mila in più (in larga parte stranieri): un incremento del 20%». Risultato: mentre nel Mezzogiorno calano le classi, crescono i maestri e i professori. Che non hanno la minima possibilità, a meno che non si deportino al Sud gli studenti (sic…) di essere tutti accontentati nella speranza di un trasferimento vicino a casa: 53mila richieste, 29mila posti. «Non c’è algoritmo che tenga». Uno spostamento epocale del baricentro. Tamponato «mettendo più alunni nelle classi del centro nord e meno in quelle del sud». Un esempio? Nella primaria 19,4 bambini per classe in Molise, 24,1 in Toscana. Un altro? «Nella secondaria di II grado, rispetto alla media nazionale di 22,1 studenti per classe, le situazioni regionali estreme vanno dal 19,6 della Sardegna al 23,1 dell’Emilia Romagna e Lombardia». E questo nonostante insegnare in classi con più alunni e più ragazzi stranieri sia «indubbiamente più oneroso».
I concorsi e le resistenze
«I concorsi per le Pubbliche Amministrazioni, e anche quelli per insegnare nella scuola statale, erano fino a pochi decenni fa rigorosamente nazionali», sottolinea la rivista diretta da Giovanni Vinciguerra, e quindi «era considerato normale raggiungere la sede di destinazione ovunque essa fosse». Lo accettarono il romagnolo Giovanni Pascoli trasferito a Matera, il salernitano Nicola Abbagnano mandato a Torino, il toscano Sestilio Montanelli smistato con moglie e figli a Nuoro. Senza per questo sentirsi «deportati». Era un’altra Italia, però. E come spiega il dossier «la forte resistenza» di tanti «assegnati» di oggi «è dovuta probabilmente alla loro età mediamente superiore a quella dei vincitori dei concorsi di un tempo, e all’ulteriore crescita della componente femminile tra i docenti: un conto è vincere un concorso a trent’anni e costruirsi un percorso di vita anche a mille chilometri di distanza dal luogo di nascita e di residenza, ben altra cosa è essere una insegnante quarantenne sposata e con figli, e doversi spostare lontano da casa senza avere troppe speranze di ottenere un trasferimento o un avvicinamento in tempi ragionevolmente brevi».
La strategia del riavvicinamento
Messe al muro dalla demografia, le burocrazie pressate dalla politica, dai sindacati e dalle clientele hanno cercato di tamponare la scomoda realtà con «un controesodo a livello amministrativo: con lo strumento della mobilità decine di migliaia di docenti freschi di immissione in ruolo su posti prevalentemente al centro-nord tornano verso sud, liberando posti nelle scuole del centro-nord, a loro volta occupati da nuovi assunti, in gran parte meridionali, che alla prima occasione chiederanno il trasferimento verso casa. E la ruota gira…» Gira e rigira… A danno degli studenti. Spiega uno studio Bankitalia «redatto curiosamente solo in inglese», che la continuità didattica è essenziale e che «a parità di altre condizioni alla maggiore stabilità del personale docente corrisponde un minore numero di fallimenti scolastici. Al contrario, nelle scuole dove si verifica una forte rotazione dei docenti, il rischio delle bocciature e degli abbandoni aumenta». Ovvio. E non c’è genitore che non lo sappia: per esperienza. Eppure, come dicevamo, «il tasso di mobilità degli insegnanti, che negli anni scorsi coinvolgeva circa un docente su dieci (una percentuale già di per sé elevata), quest’anno è esploso, si è addirittura triplicato, facendo saltare il banco della continuità didattica». E le dimensioni del fenomeno hanno raggiunto quei «limiti insostenibili» su denunciati.
Le assegnazioni provvisorie
A dispetto delle rivolte contro le «deportazioni» di docenti dal Sud al Nord, in realtà, di quei «207 mila trasferiti di quest’anno, almeno 130 mila sono docenti meridionali che dal Nord si sono avvicinati a casa». Ma l’«esodo biblico» non era ancora concluso, accusa il dossier, «perché la seconda fase del movimento dei docenti consentiva (e consente tuttora) l’assegnazione provvisoria per un anno in un’altra sede. Sappiamo tutti come è andata. Migliaia di docenti meridionali, arrivati alle istituzioni scolastiche a ridosso dell’inizio delle lezioni con la chiamata diretta, hanno chiesto l’assegnazione provvisoria verso il Sud e le Isole senza nemmeno assumere servizio, aspettando la risposta degli uffici scolastici di casa loro. In attesa di quella chiamata, nella maggior parte dei casi non hanno assunto servizio nelle sedi assegnate al Centro-Nord, utilizzando con creatività tutti gli strumenti contrattuali a loro disposizione (malattia per breve indisposizione, congedi per motivi di famiglia, permessi della 104 per assistenza a familiari)… Per sostituirli, i dirigenti scolastici, tra le proteste delle famiglie, sono stati costretti a utilizzare supplenti temporanei e, più tardi, supplenti annuali». E siamo a quella cifra mostruosa: almeno 257 mila spostamenti. Su 768.918 docenti. Dice ora la ministra Valeria Fedeli che, «esclusivamente per la mobilità di quest’anno», perfino l’obbligo formale di restare tre anni dove si è vinta la cattedra non è poi così obbligatorio… Resta però «fermo l’obiettivo prioritario della continuità didattica». Scommettiamo? Di deroga in deroga rischia di ripassare la cometa di Halley…
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