Trento: due storie di chi ha cambiato la propria vita con la vendita a domicilio. Quando il lavoro dipende da te
Cristina Brendolan, venditrice di cosmetici, è nel settore da vent’anni; Tomorr Kajtazi è una superstar di Folletto. Sono fra le persone che si raccontano in“Storie di vendita vissuta”, il libro che raccoglie le testimonianze di quaranta venditori delle aziende associate Univendita. Hanno scelto una professione “antica” ma rivelatasi di successo proprio in anni di crisi dei consumi
Sono tante le strade che portano alla vendita diretta a domicilio. Alcune possono essere semplici e lineari, come quella seguita da Cristina Brendolan, 52 anni, che oggi vende cosmetici con Witt Italia ed è nel settore da vent’anni, perché ha trovato modo di conciliare famiglia e lavoro; altre possono essere rocambolesche come quella di Tomorr Kajtazi, che vent’anni fa è salito giovanissimo su un gommone a Durazzo per trovare fortuna in Italia e oggi è una superstar di Vorwerk Folletto: è stato nominato migliore agente dell’azienda nel 2014, e a quei tempi perfino giornali e tv si sono occupati di lui, che oramai è così integrato da parlare in dialetto con i clienti. Sono i due trentini che si raccontano in Storie di vendita vissuta, un libro che raccoglie le testimonianze di una quarantina di venditori delle aziende associate Univendita (Unione italiana vendita diretta) e che evidenzia il legame forte fra la professione della vendita diretta a domicilio e la persona che la esercita. Ogni venditore è perfettamente consapevole che in questo lavoro vige la meritocrazia e che i risultati sono commisurati al tempo e all’impegno che vi dedica: il coinvolgimento diventa quindi un fattore determinante per il successo professionale. Le storie presentate nel libro vogliono far conoscere attraverso la viva voce dei protagonisti un’attività che, negli anni della crisi, è stata anticiclica e ha rappresentato per un numero crescente di persone un lavoro a tempo pieno o una soluzione part time flessibile, quindi particolarmente apprezzata dalle donne chiamate a conciliare le esigenze della famiglia con la necessità di arrotondare il bilancio domestico.
«In anni di contrazione di consumi e di forte crisi per i canali tradizionali del commercio, la vendita diretta a domicilio ha rappresentato un’eccezione alla regola –sottolinea il presidente di Univendita Ciro Sinatra– e l’unica vera spiegazione di questo successo sono le persone. La vendita diretta è il più antico modello di vendita al mondo: se è vero che, di concerto con le dinamiche del mercato, si sono rinnovati continuamente strumenti e aspetti accessori dell’attività, la sua essenza più profonda, quella rappresentata dal fattore umano, è immutata. Sono i venditori stessi, con la loro motivazione, la loro professionalità e le loro capacità relazionali la ragione di questa controtendenza che ha portato ad una crescita media del 5% annuo delle aziende associate Univendita negli ultimi sei anni».
Ad accomunare le storie il punto di partenza: nessuno dei venditori avrebbe mai pensato alla vendita diretta a domicilio come a una possibilità di lavoro prima di intraprenderla. Una posizione che nasceva, in molti casi, dalla mancanza di informazioni su quest’attività o da un’opinione gravata da stereotipi che, alla prova dei fatti, si sono rivelati infondati. Il libro, proprio in quest’ottica, presenta storie esemplificative. Fra queste quelle delle due donne bergamasche: una, Rosaria Carrara, sposata con due figli, è una veterana del settore e oggi, in Fi.Ma.Stars, si occupa anche della formazione delle nuove leve. Cristina Averara, invece, ha perso un lavoro da dipendente prima della crisi, ha cercato un’occupazione senza successo e poi un giorno, digitando sul web “import export spezie rare e biologiche”, ha trovato Ringana Italia: adesso lavora in Italia e all’estero per creare una rete di clienti e partner.
«Nella trasformazione profonda che stanno conoscendo i concetti di lavoro e di posto di lavoro, la professione del venditore rappresenta un investimento su se stessi, su risorse che spesso si ignora di possedere –nota Sinatra–. Se è vero che il posto fisso continua a essere un’aspirazione della maggioranza degli italiani è innegabile che oggi, per tante ragioni, si siano fatti strada anche altri modelli di lavoro. La vendita diretta, nello specifico, ribalta paradigmi consolidati delle occupazioni tradizionali, primo fra tutti: è il lavoro che dipende da me, e non il contrario». La maggioranza di storie di donne riflette, anche senza rispettarne esattamente le proporzioni, la prevalenza della componente femminile che, a giugno 2016, superava il 90% della forza vendita.
Storie di vendita vissuta
194 pagine
Edito da Eo Ipso per conto di Univendita
L’e-book è scaricabile gratuitamente in formato ePub, Mobi e Pdf sul sito dell’associazione www.univendita.it
La copia cartacea è in vendita a € 9,00 (+ € 3,00 di spedizione) e si può ordinare via mail a info@univendita.it indicando l’indirizzo di spedizione e un recapito telefonico.
Univendita (www.univendita.it) Qualità, innovazione, servizio al cliente, elevati standard etici. Sono queste le parole d’ordine di Univendita, la maggiore associazione del settore che riunisce l’eccellenza della vendita diretta a domicilio. All’associazione aderiscono 17 aziende: AMC Italia, Avon Cosmetics, bofrost* Italia, CartOrange, Conte Ottavio Piccolomini d’Aragona, Dalmesse Italia, Fi.Ma.Stars, Jafra Cosmetics, Just Italia, Lux Italia, Nuove Idee, Ringana Italia, Tupperware Italia, Uniquepels Alta Cosmesi, Vorwerk Contempora, Vorwerk Folletto, Witt Italia che danno vita a una realtà che mira a riunire l’eccellenza delle imprese di vendita diretta a domicilio con l’obiettivo di «rafforzare la credibilità e la reputazione del settore tra i consumatori e verso le istituzioni». Univendita aderisce a Confcommercio.
La vendita diretta in Italia, come riferito da Il Sole 24 Ore, nel 2015 ha generato un fatturato complessivo di 3,1 miliardi di euro; Univendita, con vendite pari a 1,6 miliardi, rappresenta il 52% del mercato.
Ufficio Stampa Univendita: Eo Ipso
Info: Miriam Giudici – Cell. 346 3907608, mail: mgiudici@eoipso.it
Seguici su: facebook e twitter
Cristina
Brendolan
Trento
Witt Italia
Dopo un battesimo lavorativo in ufficio, da oltre vent’anni la vendita diretta è la sua vita; lo è stata per due aziende; in mezzo uno stop che è stata la classica pausa di riflessione per riprendere più convinta di prima. Cristina Brendolan, trentina di 52 anni, diploma di liceo scientifico e tre anni di corso di laurea in Medicina, ha interrotto gli studi non perché la media dei voti agli esami non fosse all’altezza delle attese o si fosse disamorata della materia. «Più semplicemente ho capito che non sarei mai riuscita a essere un medico sul campo e ho abbandonato. Non mi ha mai abbandonato però l’idea di poter rendermi utile agli altri e con questo spirito ho sempre interpretato i miei lavori».
La prima occupazione arriva a 24 anni, nell’ufficio personale di un’azienda e come assistente del principale. «Un lavoro che mi piaceva –ricorda Cristina–, ma che non ho potuto più continuare a fare quando ho avuto il primo figlio. Il principale era stato molto chiaro: il lavoro che fai non può essere compresso in un part time, quindi ho deciso di fare la mamma». Passano appena sei mesi e Cristina è invitata a un party: è l’occasione per fare la conoscenza con la vendita diretta. «Grazie ai miei studi avevo posto una domanda molto specifica che la rappresentante aveva notato. Quando, il giorno successivo, è venuta a casa mia per perfezionare la vendita mi ha offerto la possibilità di cominciare l’attività. Io ci ho visto subito la possibilità di mettere a frutto una mia passione e ho accettato. I prodotti mi piacevano, il lavoro chiamava in causa conoscenze che erano nel mio bagaglio o che, comunque, raccoglievo leggendo e informandomi continuamente. Dopo soltanto un anno ero diventata responsabile di un gruppo. Poi ho cominciato una lenta retromarcia».
Che cosa era accaduto? «Non davo il meglio di me lavorando con obiettivi troppo stringenti; a me premeva, innanzitutto, il contatto con i clienti, il lavoro di formazione e informazione. La vendita, poi, ne era una conseguenza naturale. Avevo quindi perso gli stimoli per continuare». Ma non si è fermata. «La spinta mi è tornata conoscendo Witt, all’inizio del 2014. Con l’azienda c’è stata piena condivisione sul mio metodo da subito e dopo soli nove mesi sono diventata capo vendita, ho cinquantasette persone, tra consulenti e soci, attive nella città di Trento e sul territorio provinciale, e ho aperto uno showroom. Ma soprattutto sono me stessa e lavoro con il cuore». Cosa l’ha convinta in Witt? «Witt ha proposto un nuovo concetto di vendita per i prodotti destinati alla cura della persona e alla pulizia della casa. Gli showroom non sono luoghi di vendita ma di esposizione e di incontro con le venditrici e le clienti. È un aspetto della politica aziendale in cui mi sono ritrovata in pieno perché lo showroom è veramente la vetrina di una concezione della vendita diretta fatta di rapporti personali, di scambi di informazioni, di incontri, presentazioni e formazione, quindi crescita professionale e umana, continua».
Un luogo aperto? «Aperto cinque giorni su sette, quindi molto vivo direi. Qui le venditrici possono organizzare party, qui incontro le venditrici quando hanno un problema da sottopormi, insomma è un luogo in cui si danno consigli, si fa consulenza, quindi dove nasce e si cementa quella fiducia che è alla base dei rapporti in un’attività come la vendita diretta». L’identikit dei suoi collaboratori? «L’età varia molto: dalle studentesse universitarie a signore mie coetanee. Ci sono anche degli uomini perché nel catalogo Witt sono presenti prodotti come gli integratori, che sono utilizzati in prevalenza da loro». Chi ottiene i risultati migliori? «Le persone più preparate, a dimostrazione dell’importanza dell’aspetto consulenziale nel nostro lavoro. È quindi falso che si tratti dell’ultima spiaggia quando non si trova lavoro; si tratta di un lavoro che è legato alla serietà dell’azienda e della persona». È un lavoro veramente conosciuto all’esterno? «Non direi proprio; tutto dipende da cosa fai e da come lo fai. Può essere un lavoro sfaccettato, complesso e formativo proprio come quello imprenditoriale. È anche un lavoro che, come nel mio caso, può essere interrotto e ripreso. E non credo che siano molte le professioni che danno questa opportunità». Per lei è un lavoro a tempo pieno. «Sì perché io ho deciso così, non certo per imposizione. Io conoscevo Witt fin da piccola, perché mia madre faceva uso dei suoi prodotti, e sempre un’amica di mia madre me l’ha fatta rincontrare e me ne sono innamorata. È il mio modo di dedicarmi agli altri».
Tomorr
Kajtazi
Mezzolombardo
Vorwerk Folletto
Circa vent’anni fa, a Durazzo, il sedicenne Tomorr Kajtazi è salito su un piccolo gommone. Con lui c’erano più di venti persone, la destinazione era l’altra sponda dell’Adriatico. Tomorr sapeva già dove andare: la sorella lavorava come cameriera in Val di Non. Il viaggio –dice– è molto simile a quello che oggi affrontano i migranti dall’Africa. Nato nel 1982 a Bajram Curri, città dell’Albania situata nel distretto di Tropojë, nel nord dell’Albania quasi ai confini con il Kosovo, Tomorr prende la via del mare dopo aver completato le scuole medie. L’Italia per gli albanesi è il Paese della speranza e del lavoro e così è anche per Tomorr che, dopo poco tempo, è lavapiatti. «L’ho fatto per qualche mese, poi sono passato a una falegnameria. Lì ho lavorato per tredici anni, assunto a tempo indeterminato».
Meglio di così. «Nel frattempo mi sono anche sposato e sono nate tre figlie, che oggi hanno rispettivamente 11, 8 e 6 anni. Le cose andavano bene; del guadagno non c’era da lamentarsi, ma io volevo cambiare». Funzionava tutto al lavoro e a casa: perché cambiare? «Io lavoravo nel reparto segheria: arrivavo il mattino, salutavo e per il resto della giornata, per il rumore che c’era nell’ambiente, mettevo le cuffie e non scambiavo una sola parola con i colleghi. Mi sentivo un po’ chiuso». Cosa cercava? «Un lavoro in cui ci fossero contatti con le persone. L’occasione è arrivata grazie a un amico: aveva comperato una scopa elettrica Folletto e mi ha fatto sapere che l’azienda era alla ricerca di personale. Volevo provare, così ho incontrato il mio ex capo gruppo e ho cominciato». E a casa come hanno preso la decisione? «Mia moglie aveva un po’ di paura, non era del tutto convinta; atteggiamento comprensibile, perché avevamo già tre figlie e io ero l’unico a lavorare. Però mi ha lasciato scegliere: sei tu che lavori –mi ha detto–, se te la senti fallo pure».
E lei se l’è sentita. «Ammetto di non aver mai pensato prima di fare il venditore: sono sempre stato timido. Un po’ di paura l’avevo anch’io –è naturale–, ma quando ho visto che altri ce la facevano mi sono detto: perché non potrei farcela anch’io? E poi avevo un motivo in più per non fallire». Che era? «La mia famiglia, mia moglie mi avevano dato fiducia; io mi sono sentito ancora più motivato a fare bene. Sentivo la responsabilità e ne ho ricavato l’energia per dare il meglio di me». Tutto apprezzabile, ma è stato sufficiente per sfondare come venditore? «Direi una bugia se parlassi di strada in discesa da subito; è vero che questo lavoro è per tanti, ma sappiamo che non è per tutti e anche chi ottiene buoni risultati deve prima imparare il metodo. A me è servito un po’ di tempo».
In verità, entrato in Vorwerk Folletto nel novembre 2012, Tomorr ha imparato in fretta se è vero che, nel 2013, è risultato il terzo venditore in Italia con 1059 apparecchi venduti e nel 2014 è stato primo con 1331.
Se è vero che abitavi in Italia da diversi anni e parlavi bene la nostra lingua, i clienti capivano comunque che eri straniero: neanche questo ti ha fermato? «Conoscevo bene l’italiano, ma parlavo –e parlo– ancora meglio il dialetto del Trentino, che è forse più usato dell’italiano nella vita di tutti i giorni. La maggior parte dei clienti capiva che ero straniero soltanto quando si arrivava alla firma del contratto. E, in ogni caso, la lingua madre o la nazionalità passano in secondo piano se dimostri al cliente di essere professionale e se fai capire che sei persona di cui potersi fidare. A me questo è riuscito». Ma una cosa è riuscire a vendere, un’altra è essere il primo agente d’Italia al secondo anno di lavoro. «Lo stupore è stato generale, ma un risultato di quel tipo non arriva mai per caso; un’azienda attenta e presente come Vorwerk Folletto ti supporta, ti gratifica, ti motiva, ti aiuta a farti credere in te. Anch’io non avrei mai pensato di arrivare così in alto, ma la mia storia dimostra che la cosa non è impossibile. Mi sono commosso quando il risultato è stato ufficiale, sono stato intervistato dai giornali e quando mio padre, che è rimasto in Albania, l’ha saputo mi ha detto semplicemente: lo sapevo che eri un grande».
Cosa è cambiato nella vita tua e della tua famiglia dopo questi risultati? «Siamo più tranquilli, abbiamo fatto un mutuo per la casa. Quando sono andato in banca e hanno visto la retribuzione mi hanno detto che andava benissimo, ma come potevo garantire che sarebbe stato ancora così? Ci siamo dati appuntamento sei mesi dopo; sono tornato con gli ultimi guadagni, ho acceso il mutuo e adesso viviamo nella nostra casa, a Mezzolombardo».