La panchina delle tenerezze
Pedalando in bicicletta lungo le rive torinesi del Po, un professore universitario e sua moglie assistono domenica pomeriggio a una scena che li incuriosisce. Un uomo e una donna, muniti di pala e vanga, stanno disseppellendo una panchina di corso Casale, l’ultima prima del ponte Sassi, sommersa dalle sabbie portate dall’ultima piena del fiume. Il professore e la moglie chiedono alla coppia le ragioni del gesto. Si sentono rispondere che quello è un luogo speciale, la panchina delle tenerezze. Una panchina dove da sempre vengono ad appartarsi gli innamorati. Vederla cancellata dal fango era sembrato loro un oltraggio e avevano sentito il bisogno impellente di rimediare.
La moglie del professore si commuove per l’asciuttezza piena di senso che emana da quelle parole. Chiede il permesso di fotografarli e di spedire la foto al giornale. Accettano, a condizione di restare senza nome. Gente così. Capace di compiere atti di altruismo per puro senso civico e afflato sentimentale, forse sullo slancio di un ricordo d’amore che affettuosamente li perseguita. Testimoniarne l’esistenza non è buonismo, ma dovere di cronaca: non fa tutto schifo, là fuori.
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