Obama, una lezione di dignità

di VITTORIO ZUCCONI

Nell’ascoltare i cinquanta minuti del discorso d’addio di Barack Obama, nel vederlo asciugarsi le lacrime mentre ringraziava Michelle per averlo acompagnato nel viaggio impossibile dai ghetti neri di Chicago alla Casa Bianca, una parola già densa di rimpianto mi tornava alla gola: dignità.

Possiamo dare tutti i giudizi che desideriamo sulla prima presidenza di un uomo di sangue misto bianco e nero nella storia degli Stati Uniti, criticarne le scelte, i risultati, le incertezze, gli errori soprattutto sul fronte internazionale, ma non possiamo dimenticare che i suoi otto anni sono stati un paradigma di dignità, di civiltà, di correttezza quali pochi predecessori avevano raggiunto.

La lezione che Barack Obama lascia alla sua America e a chi lo ha seguito con interesse o con avversione è molto più delle nobili, ma prevedibili parole pronunciate nel discorso d’addio nella Chicago dove era diventato adulto, dove era entrato in politica e aveva conosciuto la donna che sarebbe diventata sua moglie.

La lezione è stata nel dimostrare, con l’eleganza costituzionale con la quale ha chiesto di accettare, ma non subire, la transizione del potere a chi “ha vinto le elezioni” senza dubbi, che la celebrata retorica di Martin Luther King quando chiese di giudicare le persone non dal colore della pelle, ma dalla qualità del loro carattere, non è soltanto retorica. Che la razza, le origini, il luogo di nascita, le circostanze, non sono destino e si può  diventare quello che si fa di sé e non subire quello che la fortuna determina.

E’ questa, più della riforma della Sanità, della resurrezione economica di una nazione che al suo ingresso alla Casa Bianca era a pezzi e nei suoi otto anni ha prodotto più posti di lavoro di quanti ne fossero mai stati creati in altri otto anni, più dell’esecuzione di Osama bin Laden, più della confusione che lascia sui fronti delle troppe guerre ancora aperte, l’eredità di Barack Hussein Obama. E’ l’avere fatto dimenticare agli uomini e alle donne di buona volontà il colore della sua pelle. Non era più il “Black President” l’uomo che si asciugava gli occhi dando l’addio a un’America che l’ha tanto amato quando odiato, ma un uomo con il colore delle proprie convinzioni e il senso della sua impeccabile dignità.

E mentre irrompevano sulla scena delle notizie le rivelazioni possibili di “compromettenti” informazioni in possesso dei russi sul passato di Donald Trump, Obama ha cercato di lasciare la storia con una nota positiva: “Sono più ottimista ora di quanto fossi otto anni or sono” ha detto chiudendo il discorso d’addio.

Vorrei poterlo essere anche io…

REP.IT

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