Ecco i furbetti del mattone che hanno spolpato le banche
Le banche hanno sempre avuto un’attrazione fatale per costruttori e immobiliaristi. La memoria corre ai protagonisti della calda estate 2005 dei «furbetti del quartierino», copyright di un immobiliarista con le ambizioni di banchiere, Stefano Ricucci.
Con lui anche Danilo Coppola che nel 2009, dopo dunque i processi per le scalate bancarie, ha acquistato a Milano l’area di Porta Vittoria pagandola 134 milioni grazie a un finanziamento di 180 milioni ricevuto da un pool di banche, guidate dal Banco Popolare. E Giuseppe Statuto: alla fine del 2001 l’immobiliare di famiglia era una piccola società che fatturava 79 milioni di euro. Nel giro di pochi anni ha messo insieme un forziere solidissimo fra azioni, palazzi e alberghi, tra cui il Mandarin Oriental a Milano e il San Domenico a Taormina. Ora però sta dando grattacapi al Monte (in pool con Popolare Emilia e Aareal Bank) che dopo diverse rate del mutuo da 160 milioni non pagate gli ha pignorato l’Hotel Danieli di Venezia.
Non è un caso se molti istituti oggi in difficoltà hanno finanziato mega-progetti immobiliari. Il mattone «tira sempre», anche se gli appartamenti restano invenduti e gli uffici vuoti. Prestare denaro ai «fenomeni» del real estate significava avere nuovi potenziali azionisti della banca ma anche investire ovvero creare rendite attese molto più convenienti rispetto a concedere un mutuo per l’acquisto di una casa. Lo sapeva bene Luigi Zunino che è stato in grado di farsi prestare, e non restituire, da Mps e altre banche, la bellezza di 3 miliardi per il progetto di Milano Santa Giulia firmato dall’archistar Norman Foster. All’elenco si aggiungono altri nomi meno noti come quello di Gianni Punzo che con la sua Cisfi Spa, la finanziaria in cima al reticolo di società che ha realizzato l’interporto di Nola, avrebbe titoli in pegno con il Montepaschi e per un ammontare complessivo di 11 milioni di euro. A Siena si deve fare i conti anche con i crediti concessi alla famiglia di costruttori Mezzaroma noti anche per le vicissitudini sportive che hanno portato al fallimento del Siena Calcio. Ma la più grossa grana immobiliare per il Monte si chiama Casalboccone. Partecipata dalla controllata Sansedoni, gestisce un progetto di sviluppo alla periferia nord di Roma. La società operativa si chiama Eurocity Sviluppo Edilizio (fu comprata dai Ligresti nel 2007) e risulta a sua volta controllata dalla Casalboccone Roma partecipata dalla Fondazione Mps (al 67%) e da Mps (con il 22%). Nel 2013 l’assemblea dei soci di Casalboccone spa ha approvato la messa in liquidazione della società. Colpa del bilancio 2012 chiuso con 28,5 milioni di perdite a fronte di un capitale versato di soli 120mila euro. E soprattutto della mancata di disponibilità dei tre soci (Fondazione, Mps e la cooperativa Unieco di Reggio Emilia con l’11,2%) a mettere mano al portafoglio per ricapitalizzare. Il problema è che a fine 2011 l’azionista Mps ha concesso a Casalboccone un prestito di 30 milioni garantito anche da una fidejussione fino a 32 milioni rilasciata dalla Sansedoni Siena spa. Il prestito però non è stato rimborsato: a maggio del 2013 il Monte ha escusso la fidejussione e la Sansedoni ha versato i 32 milioni alla banca, diventando creditrice della Casalboccone.
Anche i maggiori crediti inesigibili di Banca Etruria erano nel settore immobiliare, con nomi di spicco come Francesco Bellavista Caltagirone, la coop Castelnuovese del presidente Lorenzo Rosi, l’altra coop rossa del mattone Consorzio Etruria. Esemplare anche il caso di Banca Marche: a minare le fondamenta di questo istituto è proprio la concentrazione degli impieghi sull’immobiliare, con progetti faraonici basati su valori di mercato stratosferici, in cui gli imprenditori non si assumevano alcun rischio, che cadeva invece interamente sulla banca. L’allora direttore generale Massimo Bianconi finisce nel mirino di Bankitalia per alcune operazioni poco chiare. Come l’acquisto per 7 milioni, fatto dalla moglie, di una palazzina ai Parioli dall’immobiliarista Vittorio Casale, un ottimo cliente dell’istituto e finito poi in dissesto con il suo gruppo Operae. Chi è Casale? Legato al potentissimo Pci bolognese degli anni Sessanta, nel 2006 il suo nome finisce nelle indagini sulla scalata Antonveneta quando lo cita il braccio destro di Gianpiero Fiorani, Giancarlo Boni, definendolo l’immobiliarista di fiducia di Giovanni Consorte.
IL GIORNALE