Alitalia, un altro miliardo per salvarla
di LUCIO CILLIS
ROMA – Per tornare in quota Alitalia ha bisogno di almeno un miliardo di euro. Tra debiti e rilancio la salvezza del gruppo italo-arabo ripiombato in un incubo, si fonda su cifre che fanno tremare i polsi agli azionisti. Soprattutto se questo nuovo atto della pièce Alitalia, passerà ancora per Abu Dhabi con un progetto industriale di cinque anni scritto dagli uomini Etihad, dimostratisi incapaci fino ad oggi di mettere in sicurezza i conti di una società che perde oltre un milione di euro al giorno.
Tutti i soci, al momento, non si sbilanciano sull’eventualità di un cambio al vertice ma nei corridoi della sede di Fiumicino, c’è chi sussurra nomi di manager che nel recente passato hanno già guidato il gruppo, portandolo ad un incollatura dal pareggio operativo (peraltro in tempi di petrolio a 100 dollari al barile, quasi il doppio rispetto a oggi). E quindi si attende il piano che Cramer Ball, l’amministratore delegato, australiano come il capo di Etihad James Hogan, illustrerà nei dettagli al board Alitalia a fine gennaio, prima di bussare per la seconda volta alla porta del governo Gentiloni, che nelle ultime ore, ha risposto in maniera ruvida alle richieste di sostegno del management. Prima di intervenire con ammortizzatori sociali e con un possibile reingresso dello Stato nella compagnia, i ministri dello Sviluppo Calenda e dei Trasporti Delrio hanno chiesto un piano industriale credibile, certificato dagli advisor e approvato da tutti i soci.
La documentazione (di 158 pagine) portata sul tavolo dell’esecutivo nei giorni scorsi non ha convinto i due ministri che hanno ascoltato increduli la richiesta di nuovi tagli al personale. Calenda, in particolare, ieri ha ribadito che “i dipendenti non devono pagare il prezzo più alto” e ha sparato senza pietà sulla compagnia definita, “un’azienda che non funziona ed è stata gestita male” mentre il presidente del vettore Luca di Montezemolo, ha risposto ammettendo che “ci sono stati degli errori”, ma rilanciando sul piano “che verrà presentato entro fine mese” e che dovrebbe rimettere in sesto i conti e portare a un nuovo decollo di Alitalia.
Alitalia, Montezemolo: “Gestita male? Dai risultati non si può negare ma vero problema è modello di business”
I sindacati scalpitano e sono pronti allo sciopero. Lunedì dovrebbero incontrare i ministri Delrio e Poletti per parlare di trasporto aereo e della crisi Alitalia, in attesa del piano-Ball. Che nelle sue linee principali punta a risparmi sui contratti di lavoro, sulla messa a terra di 15 aerei di corto raggio. I fornitori saranno costretti a tagliare i prezzi, i dipendenti a sacrificare alcune voci dello stipendio.
Ci saranno due compagnie: una tradizionale per il lungo raggio e una low cost (Cityliner) che cercherà di replicare il modello Ryanair. Il costo del lavoro di Alitalia, rispetto al concorrente a prezzi scontati, è però superiore del 40% e in questa partita ha un peso non indifferente: Ryanair è la quarta compagnia al mondo e la prima in Europa per passeggeri trasportati e funziona grazie alla spinta di 11 mila dipendenti. Duemila in meno rispetto ad Alitalia. Ecco perché la scure di Ball prenderà di mira il personale, soprattutto non operativo: da mesi in azienda si parla di 1.100 esternalizzazioni per gli impiegati e di altri 500 esuberi tra uscite “vere” e tagli ai contratti a termine oltre a 360 tra piloti e hostess che rischiano di essere prestati alle altre compagnie dell’universo Etihad. Il network di medio raggio, anche in funzione di questa rivoluzione, sarà ridotto e così le frequenze di diversi aeroporti italiani, anche se nulla ancora è scritto nero su bianco.
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