Il patto con Gentiloni. E Renzi ora spinge per il reddito minimo

fabio martini
ROMA

Dal Policlinico Gemelli lo hanno dimesso alle 9,50, ha fatto una capatina a casa e poco prima di mezzogiorno Paolo Gentiloni si è presentato a palazzo Chigi per la riunione del Consiglio dei ministri. Una sequenza che intende essere eloquente e che comunque ha un valore simbolico: il presidente del Consiglio sta bene, si ricomincia come prima. Mentre passava dal cortile di palazzo Chigi al primo piano, un dettaglio fermato da una telecamera, racconta l’uomo Gentiloni: il presidente del Consiglio è solo, apre una porta e avvertendo con la coda dell’occhio una persona dietro di lui, ha rallentato e trattenuto la maniglia. Gesto minimo ma che indirettamente aiuta a spiegare l’accoglienza affettuosa che gli hanno riservato ministre e ministri al suo ingresso nel salone del Consiglio.

 E, introducendo la riunione, Gentiloni ha pronunciato una frase significativa: «Decidiamo e raccontiamo quel che facciamo più che quel che faremo». Un’indicazione nel segno del pragmatismo da parte di chi vuol far bene, ma non sa quale sia l’orizzonte temporale del governo. L’ orizzonte sarà deciso, in base alle condizioni politiche, da Matteo Renzi, segretario del partito più forte del Parlamento. Tanto è vero che due giorni fa, quando Renzi è andato a trovare Gentiloni presso il Reparto di Cardiologia, i due hanno chiacchierato del futuro, trovandosi d’accordo sulle questioni essenziali. I due, effettivamente, hanno deciso di muoversi all’unisono. Come un tandem. Renzi ha bisogno di Gentiloni per realizzare quelle misure programmatiche che connotino il Pd in vista della campagna elettorale e Gentiloni ha bisogno di Renzi per svolgere il suo compito «con dignità», come dice lui.

L’ex presidente del Consiglio ha interpretato la sconfitta al referendum soprattutto come un segno di protesta da parte di alcune fasce sociali e geografiche (giovani, ceto medio impoverito, Sud) alle quali ora invece vuole parlare, vestendo i panni del leader che cerca di dare una risposta a quelle fasce di nuova emarginazione. Con provvedimenti eloquenti. Come il “reddito minimo garantito”, al quale stanno lavorando nell staff di Renzi. L’ ex premier ha sempre escluso di poter caldeggiare il “reddito di cittadinanza”, che sta a cuore ai Cinque Stelle e che rappresenta controindicazioni significative: prevede un trasferimento universale e permanente a ogni individuo che rispetti requisiti minimi di appartenenza a una comunità, ma senza alcuna limitazione connessa alla condizione economica. Una misura che avrebbe un costo stratosferico (oltre 300 miliardi) ed è per questo motivo che al Pd stanno lavorando al “reddito minimo garantito”, che cioè sia in grado di assicurare a chiunque sia in età lavorativa un’integrazione che lo porti a un livello minimo accettabile.

 

Naturalmente ciò che più sta a cuore a Renzi, è arrivare allo scioglimento anticipato delle Camere. Ma anche in questo caso c’è una novità: il segretario del Pd pubblicamente continuerà a tenere il punto – se non lo facesse la prospettiva si affloscerebbe – ma si sarebbe fatto meno tranchant: Renzi vuole la rivincita ma non a tutti i costi, non al costo di perdere un’altra volta. E comunque, avrebbe detto, entro febbraio si decide, in base alle trattative con i partiti. Prima di andare allo showdown delle elezioni anticipate, al Pd vogliono capire quale compromesso si potrà raggiungere con Berlusconi sulla legge elettorale, anche perché Renzi non vuole passare alla storia come il leader che riporta il proporzionale in Italia e al tempo stesso vuole uno strumento che gli consenta di governare e di incidere. Intanto il governo in carica, con provvedimenti su scuola e unioni civili, continua a marciare con un passo realizzativo “renziano” e Gentiloni, non avendo ricevuto veti da parte dei medici, ha deciso di confermare l’impegno a Berlino del 18, un bilaterale Germania-Italia con Angela Merkel.

LA STAMPA

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