Renzi dopo il flop al referendum: “Ho pensato all’addio, ora cambio il Pd”
La sconfitta al referendum “brucia, eccome se brucia”. Tanto che il vero dubbio è stato se continuare o lasciare.
“Ma poi uno ritrova la voglia di ripartire”. Nell’intervista rilasciata al direttore di Repubblica, Ezio Mauro, Matteo Renzi lo mette in chiaro subito. Non ci sarà alcun passo indietro. Altro che addio alla politica. L’ex premier resta e tira dritto. Eppure, durante la campagna elettorale in vista del referendum sulle riforme costituzionali, lo aveva ripetuto fino allo sfinimento. “In caso di vittoria del No – aveva detto – non c’è ragione perché io continui a fare il politico”. Ora, dopo la batosta del 4 dicembre, si rimangia tutto e trama per tornare al governo.
È la prima intervista che rilascia dopo l’amara sconfitta al referendum. Sulle riforme costituzionali Renzi ci aveva scommesso tutto. Insieme al Jobs Act, che sinistra radicale e sindacati ora vorrebbero abbattare, il ddl Boschi era sicuramento la riforma più importante del passato governo. Si è frantumata contro il “no” degli italiani. Il risultato della consultazione referendaria del mese scorso è stato netto. Tanto che a Renzi non è restato altro che dimettersi. “Nei primi giorni” dopo la sconfitta, racconta lui stesso a Mauro, era tentato di uscire dalla politica. “Ma poi ho pensato che solo il vigliacco scappa nei momenti di difficoltà”. E ora è pronto a ributtarsi nella mischia. Per il momento le elezioni non sono all’ordine del giornio. E a lui importa prima “cambiare” e ristrutturare il Pd.
“La nostra battaglia è appena cominciata”, dice. Ma assicura anche che non vuole né rivincite né vendette. “Riorganizzo la struttura del partito”, sottolinea Renzi spiegando che “uno dei miei limiti” è stato dire troppi ‘io’ e pochi ‘noi'”. “L’errore ‘clamoroso’ è stato “non aver colto il valore politico del referendum – continua nel mea culpa – mi sono illuso che si votasse su province, Cnel, regioni. In questo clima la parola riforma è suonata vuota, meccanica, artificiale. Tre anni dopo avrei dovuto metterci più cuore, più valori, più ideali. Insomma meno efficienza e più qualità”. L’ex premier respinge l’accusa di aver scelto i più fedeli a Firenze anziché i più bravi in Italia. Adesso, “lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e in largo l’Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti – conclude – ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno”.
IL GIORNALE