Otto per mille, la Chiesa imperversa con i suoi spot e si mangia la fetta più grande
ALDO FONTANAROSA
ROMA – La Chiesa cattolica, scatenata, le tenta tutte pur di fare il pieno di soldi con il meccanismo dell’8 per mille. E si affida soprattutto a campagne di spot in tv, che risultano “martellanti” ed efficacissime.
Invece lo Stato italiano – che pure avrebbe bisogno di questo contributo, ad esempio per ristrutturare le scuole – non si impegna per convincere i contribuenti. La Corte dei conti, sorpresa dalla timidezza dei nostri governi, ha anche altri dubbi. Contesta allo Stato italiano di essere sleale quando impiega i soldi che riceve (quasi suo malgrado) dall’8 per mille.
Lo Stato dunque mostra “disinteresse” per questo aiuto, al punto che i contributi in suo favore si sono “drasticamente ridotti” negli anni. Cittadini laici nello spirito, contrari a sostenere una confessione religiosa, non trovano così una “valida alternativa” in campo. Vorrebbero destinare “una parte della imposta sul reddito” a cause “sociali e umanitarie”. Ma questo sentimento – osserva la Corte – è “frustrato”.
Peraltro la legge prevede che la ristrutturazione delle scuole – obiettivo “molto sentito dagli italiani” – sia finanziata anche dall’8 per mille. Per questo, la Presidenza del Consiglio si era impegnata a lanciare, per il 2016, una intensa “campagna promozionale”. Ma questa campagna ancora una volta non è arrivata. L’effetto è una “marginalizzazione della iniziativa pubblica che ha compromesso la possibilità di ottenere maggiori introiti”. Questo, “in violazione dei principi di buon andamento, efficienza, efficacia della pubblica amministrazione”
Opposta è la strategia della Chiesa cattolica che – per convincere gli italiani a girarle l’8 per mille – gioca la carta degli spot tv. La Corte dei conti rivela che – in quindici anni, dal 1998 al 2013 – la Chiesa cattolica ha investito quasi 64 milioni di euro in inserzioni pubblicitarie sulla sola Rai. Cifra che spinge la Corte – perplessa – a parlare di un “mercato del solidarismo”.
La strategia di persuasione della Chiesa cattolica è efficace. In 24 anni – tra il 1990 e il 2014 – ha incamerato più di 18 miliardi 301 milioni grazie all’8 per mille (contro i 400 milioni di tutte le altre confessioni messe insieme, come gli avventisti, gli evangelici luterani o valdesi, le comunità ebraiche).
Nel 2014, mentre la Chiesa cattolica supera di slancio il miliardo di entrate, lo Stato italiano deve accontentarsi di 170 milioni.
Lo Stato peraltro pesca volentieri nei contributi dell’8 per mille per finanziare altre sue spese o attività. Ora, queste attività hanno sempre un rilievo pubblico. Dal 2011, ad esempio, 64 milioni in arrivo dall’8 per mille hanno tenuto in piedi la flotta della Protezione Civile. Il problema è che dirottare questi soldi altrove, come fa lo Stato, significa negare “piena esecuzione alla volontà del contribuente” che aveva dato il contributo per un altro utilizzo. Siamo di fronte dunque ad una violazione dei principi di “lealtà e buona fede”.
E a proposito di lealtà, la Corte rivela di aver sollecitato indagini sui Cat che assistono milioni di italiani al momento di compilare la dichiarazione Irpef. Su 4987 schede esaminate, il bilancio provvisorio è di irregolarità nel 7 per cento dei casi. A volte, i Caf non conservano la comunicazione della persona che indica a chi destinare l’8 per mille. A volte i Caf danno i soldi a chi dicono loro ignorando la volontà dei contribuenti. Qualche Caf di super-credenti suggerisce di indirizzare il contributo alla Chiesa cattolica venendo meno al dovere di imparzialità.
REP.IT