Scuola, io insegnante di professione, bidella per necessità

di Valentina Santarpia

Insegnante di professione, bidella per necessità. Francesca Capecce, 34 anni, di Termoli, è una delle centinaia di «idonei fantasma», i professori che hanno superato scritti e orali dell’ultimo concorso per l’insegnamento ma che non hanno una cattedra: il bando prevedeva che, oltre ai vincitori, potessero aspirare ad un posto solo il 10% in più di chi era in graduatoria. E così, nonostante tantissime cattedre siano rimaste vuote, loro, tecnicamente abilitati ad insegnare, restano a casa, mentre in classe entrano supplenti bocciati. E chi non può permettersi di restare senza stipendio, fa di tutto: anche il collaboratore scolastico. Come Francesca. Umiliante? «Frustrante, più che altro. Ma il lavoro è lavoro: e anche se 900 euro non sono i 1.300 dell’impiego da docente, sono comunque un’entrata per la mia famiglia. Ho una figlia di cinque anni e non mi posso permettere di rimanere a casa».

Dieci anni di insegnamento

«Ho insegnato dieci tondi tondi. Dal 2006 insegno accoglienza turistica, ovvero ricevimento, negli istituti alberghieri e professionali. Con incarichi quasi sempre annuali o sostituzioni di maternità. Sono diplomata come tecnico dei servizi turistici, mi ero anche iscritta a Economi del turismo, ma col lavoro non sono riuscita a laurearmi. Poi è arrivata la riforma Gelmini: taglio drastico delle ore della mia materia. Fino al 2013 ho resistito, c’erano spezzoni di cattedre qua e là e giravo come una trottola pur di racimolare le mie ore di insegnamento. Nel 2014 ho preso l’abilitazione con il Pas, sperando mi desse qualche punteggio in più: ma non arrivava niente. E allora, quando mi hanno chiamato dalla graduatoria di terza fascia degli Ata, ho accettato.

Paradossalmente, sono molto titolata rispetto agli altri educatori, e quindi da un anno e mezzo ho sempre lavorato, anche se con incarichi temporanei». Come collaboratrice amministrativa? «Non solo. Ci speravo, a dire il vero. Ma mi sono dovuta adattare: le pulizie, l’assistente di laboratorio, l’accoglienza degli alunni, l’assistenza dei disabili, il centralino. Ho fatto di tutto nella scuola della mia ultima supplenza, un Ipssia di Montenero di Bisaccia, in provincia di Campobasso, e ci scherziamo su: servo la scuola in tutto e per tutto».

«Il ritorno nella mia vecchia scuola»

Le è capitato di lavorare anche per scuole dove aveva insegnato? «Sì, l’anno scorso, per un alberghiero, la stessa scuola dove ero stata anche alunna. All’inizio non volevo accettare, mi sembrava troppo. Poi mi hanno convinto, ricordandomi che ciò che conta è lavorare con dignità. Temevo il giudizio dei ragazzi. E invece mi hanno stupito: mi hanno incoraggiato, aiutato, e detto più volte che per loro ero un esempio di coraggio e fierezza. Mi chiamavano professoressa anche se lavavo i piatti nel laboratorio di cucina, invece di stare in cattedra. Mi hanno detto che ho insegnato loro il senso del dovere e del sacrificio. Devo dire la verità, sono stati di grande aiuto e incoraggiamento». Poi ha tentato il concorso, sperando di riconquistare la sua posizione. Ma cosa non è andato per il verso giusto? «Non lo so. Ho studiato, pagato tre viaggi in Campania per sostenere le prove invece di andarmene in vacanza, ho rinviato un intervento delicatissimo, ho anche accettato il rischio di lasciare la mia famiglia, visto che per la mia materia non c’erano cattedre in Molise, ma solo 4 in Abruzzo. Alla fine sono risultata idonea con 34 punti su 40. Quindi non ammessa al posto a tempo indeterminato. Una delusione. Nonostante ci siano ancora molti spezzoni di ore liberi in giro, a me non assegnano alcun posto. Anzi, peggio: speravo che i vincitori liberassero le cattedre andando ad occupare i loro ruoli legittimi in Abruzzo, e invece anche loro non sono stati sistemati, i loro posti non esistono più».

«Tanti supplenti davanti a me»

«Con la mobilità molte cattedre previste dal concorso sono risultate fittizie, inesistenti: tanti insegnanti che si sono spostati le hanno occupate, e poiché avevano più diritti dei neo immessi in ruolo nessuno può farci niente. Magra consolazione: anche i vincitori di concorso sono messi come me». Chi sta facendo le supplenze invece? «Per lo più precari che sono stati bocciati al concorso. Io che ho superato un concorso valgo meno di loro. Tutti i concorsi pubblici danno un valore all’idoneità, questo è l’unico che ci considera dei fantasmi: noi abbiamo meno valore di chi non l’ha superato. Non ha senso. Considerarci validi per i posti vuoti invece avrebbe un duplice effetto positivo: noi avremmo un posto, e gli alunni dei professori preparati». Mentre pulisce e sistema le aule, ha dei rimpianti? «No, cerco di fare del mio meglio in qualsiasi cosa. E anche i dirigenti scolastici mi apprezzano perché capiscono che possono affidarmi anche incarichi più delicati. Però penso spesso ai miei alunni, non poter più coltivare la loro passione per lo studio mi manca tantissimo. L’insegnamento è un mestiere del cuore, non del portafogli».

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