“L’Isis mi ha offerto 30mila dollari per farmi esplodere in Italia”
«Mi hanno offerto soldi per venire in Italia e farmi esplodere con una bomba». La voce di questo migrante pakistano è decisa, ma spaventata (ascolta qui).
Lo chiameremo Aftab per preservare l’anonimato che ci ha richiesto nel timore possa accadere qualcosa ai suoi parenti rimasti in Libia. Musulmano, 26 anni, oggi vive nel Belpaese in attesa che una Commissione territoriale valuti la sua domanda di asilo. Ma solo un anno e mezzo fa, quando con un barcone salpò dalla città costiera di Zawiya, alcuni trafficanti di uomini gli proposero di commettere attentati terroristici in Europa in cambio di una grossa cifra di denaro.
Quella di Aftab è una storia come tante. Arriva in Libia dopo un lungo viaggio dalla regione del Punjab, in Pakistan. Un anno e mezzo fa cerca un modo per imbarcarsi clandestinamente verso l’Italia. Come molti altri prima di lui, a Zawiya finisce nella morsa dei trafficanti di uomini. Per diversi giorni viene rinchiuso in un centro di dentenzione dove le milizie e gli scafisti ammassano i migranti in attesa che un gommone li traghetti in Europa. Pakistani, nigeriani, bengalesi, africani: tutti ugualmente in prigionia e loro malgrado candidati a diventare carne umana da sacrificare alla causa jihadista. A presentarci Aftab per un’intervista telefonica è Cristian Benvenuto, presidente dell’Associazione nazionale Italia-Pakistan. Il suo ruolo gli ha permesso di verificare che molti pakistani sbarcati nel Belpaese si sono trovati nella stessa situazione. «La maggioranza di loro ha rifiutato l’offerta in denaro spiega Benvenuto – ma è probabile che almeno uno tra le migliaia di quelli arrivati abbia accettato». L’inglese di Aftab è traballante e la conversazione difficoltosa. Ma non esita un secondo nel raccontare delle cifre per lui faraoniche che gli sono state promesse per diventare un jihadista.
Cosa ti hanno proposto?
«Di andare in italia e di farmi esplodere. Di uccidere per soldi».
Quanto ti hanno offerto?
«30mila dollari».
E a chi avrebbero dato questi soldi dopo la tua morte?
«Ad alcuni miei parenti rimasti in Libia. Sarebbero diventati una sorta di garanzia: se accetti i 30mila dollari ma poi non compi l’atto (terroristico, Ndr), loro li uccidono».
Come ti hanno contattato?
«Volevo fuggire dalla Libia. Non sono andato io a cercarli né avevo bisogno di loro. Mi hanno contattato durante la prigionia a Zawiya e mi hanno detto che se avessi voluto guadagnare molti soldi c’era questa possibilità».
A chi lo hanno proposto?
«La domanda è stata fatta a tutto il gruppo. Lo facevano per spaventarci. Eravamo prigionieri e ci picchiavano ripetutamente con i bastoni. Nessuno di noi, prima di arrivare a Zawiya, conosceva la situazione in questi campi. Solo quando ci hanno rinchiuso nello stanzone abbiamo capito. Non ci davano cibo né acqua. Avevamo paura di morire. Chi di noi gridava di non voler più partire (per l’Italia, ndr) veniva pestato».
Di che nazionalità erano i jihadisti che ti hanno chiesto di diventare un terrorista?
«Gli unici che hanno questo potere in Libia sono i libici».
Erano militari o civili?
«La maggior parte delle persone (che gestiscono i traffici, ndr) sono poliziotti e militari. Il vero problema è che in Libia l’amministrazione non è affatto buona. Il governo non ha controllo sul Paese. Come in altri Stati, i politici hanno forse in mano il potere, ma le milizie hanno le armi. Sono loro a comandare veramente. E poi in Libia ci sono omicidi di massa, le tribù e le diverse milizie si combattono tra loro: è difficile dire a chi facessero capo quelli che mi hanno presentato l’offerta».
Vi hanno spiegato come avreste dovuto commettere l’attentato?
«Ci hanno dato solo indicazioni generali».
Se aveste accettato vi avrebbero spiegato nel dettaglio come diventare terroristi?
«Suppongo di sì».
Ti sei rifiutato?
«Altrimenti non sarei qui».
Da musulmano, cosa ne pensi di chi uccide invocando Allah?
«Chi toglie la vita agli innocenti non è un uomo».
Altri di quelli che erano con te hanno stipulato il patto con i jihadisti?
«Non lo so».
Quante volte vi hanno proposto di arruolarvi per il jihad?
«Una volta al mese o forse più. Lo facevano regolarmente perché ogni giorno portavano nuovi migranti nella stanza dove ci avevano rinchiuso».
Ti sei opposto subito alla loro richiesta?
«No. Quando ero ancora nel carcere ho dovuto accettare, altrimenti mi avrebbero bastonato. Non ti puoi rifiutare davanti a loro. Se vuoi abbandonare la Libia da vivo, devi sempre dire di sì. L’importante per me era fuggire da quell’inferno. Solo quando ci hanno lasciati liberi, mentre stavamo per salire sui barconi, abbiamo avuto la possibilità di decidere se prestarci o meno ad un atto terroristico».
Sei sicuro che i soldi fossero per commettere attentati in Occidente?
«Te l’ho già detto e ripetuto. Avrei ottenuto quei 30mila dollari solo se mi fossi fatto esplodere in Europa».
IL GIORNALE