“La strada andava chiusa”. E spunta il primo allarme lanciato alle 7 del mattino

francesco grignetti
inviato a pescara

C’è un elemento nuovo a illuminare meglio la realtà di Rigopiano, dove, a detta del pm Cristina Tedeschini, è «assodato che fosse zona di valanghe». Un tempo, i 9 chilometri di strada che collegano il centro abitato di Farindola al resort, in presenza di neve erano considerati «a rischio».

 E si preferiva chiuderli al traffico piuttosto che garantirne la percorribilità.

Chi sa, tra i vertici delle amministrazioni locali, ne parla a mezza voce: «Sul ciglio c’è ancora il segnale stradale, pronto all’occorrenza». Ma così accadeva un tempo, appunto, quando Rigopiano non era ancora sinonimo di un albergo di lusso, la strada portava soltanto a una locanda nel cuore di una riserva naturale e a nessuno sarebbe venuto in mente di dannarsi per battere la neve in campo aperto. Le cose erano facili, al tempo: scendeva la neve, la sbarra bloccava la strada, la locanda chiudeva i battenti.

 

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La trasformazione

Tutto è cambiato, nel frattempo. Al posto di un antico casolare, trasformato in locanda negli Anni Sessanta, c’è ora un hotel di lusso che può accogliere fino a 200 ospiti. E dato che il resort è divenuto il pilastro dell’economia di Farindola, è impensabile chiudere la strada. Ma come siano cambiate le cose, e perché, sulla base di quali ricchi investimenti, e in forza di quale abuso urbanistico poi sanato dal Comune, c’è stato un processo a raccontarlo. Quel dibattimento per il reato di corruzione a carico di ex amministratori locali di Farindola (non per l’abuso, che era conclamato) si concluse con un’assoluzione e una generale prescrizione. Ora che si indaga per omicidio colposo e disastro colposo, però, i carabinieri hanno rispolverato il fascicolo e lo leggeranno con altri occhi.

 

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Per arrivare al resort c’era una strada «difficile», insomma. È diventata impraticabile e si è trasformata in una trappola mortale, però, perché da queste parti le turbine antineve non funzionano. Inutile lanciare l’allarme meteo se poi gli uffici provinciali non sono in grado di reagire e rendere praticabili le strade. A Chieti, come ha scoperto il quotidiano locale «Il Centro», su una dotazione di sette turbine, cinque sono quelle scassate. A Pescara hanno una sola turbina ed è rotta dal 6 gennaio. La Provincia si difende agitando il suo bilancio ridotto all’osso. E c’è una curiosità che sembra darle ragione: tre mesi fa la Corte Costituzionale ha dato ragione proprio alla Provincia di Pescara in conflitto con la Regione Abruzzo perché non aveva ricevuto i fondi necessari a garantire il trasporto degli studenti disabili. Un servizio considerato essenziale che non può essere subordinato al pareggio di bilancio.

 

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L’indagine dei pm ha intanto accertato che la strada di accesso all’hotel era ancora aperta la sera di martedì 17 quando va via una coppia di ospiti che si è spaventata per il maltempo, e con loro il direttore dell’albergo Bruno Di Tommaso. Lo spalaneve provinciale fino a quel momento ha fatto il suo dovere. È nella notte che riprende a nevicare. Il giorno dopo, già alle 7 del mattino è chiaro che uno spalaneve qualsiasi non sarebbe stato più sufficiente. «A Rigopiano non si va», dice un dirigente della sala operativa. Comincia la ricerca affannosa di un’altra turbina visto che la loro è rotta, ma a quel punto l’intero Abruzzo è in tilt.

 

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Le scosse e la paura

Nel frattempo arrivano le scosse telluriche e all’albergo si spaventano. Il proprietario decide che è ora di far andare via tutti, clienti e personale. Un gruppo in arrivo di 7 persone è pregato di tornare indietro. Gli altri preparano le valigie e si sistemano nella hall. Viene promessa una turbina per le 15 e però l’intervento salta. Alle 15,44, Di Tommaso manda una mail di sollecito al sindaco, al prefetto e al presidente della Provincia. «I clienti – scrive – sono terrorizzati dalle scosse sismiche e hanno deciso di restare all’aperto. Abbiamo cercato di fare il possibile per tranquillizzarli, ma non potendo ripartire a causa delle strade bloccate, sono disposti a trascorrere la notte in macchina». Conclude che i duecento metri del viale privato sono stati ripuliti e chiede «di predisporre un intervento». Ma il presidente della Provincia Antonio Di Marco vedrà quel messaggio soltanto il giorno dopo. «È una mail ininfluente – dirà poi -. Nessuno l’ha sottovalutata per il semplice motivo che io alle 14 avevo incontrato la sorella dei proprietari e avevo dato loro rassicurazioni che entro la serata sarebbe andata una turbina a liberare la strada». Si garantisce un intervento per le 19. Arriverà prima la slavina mortale.

LA STAMPA

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