La valanga all’hotel Rigopiano: Faye, il rifugiato sepolto che nessuno cercava

di Marco Imarisio, inviato a Pescara

Faye Dame, disperso

Nessuno si avvicina al ragazzo stretto nel giaccone grigio. Da almeno un’ora è in piedi e immobile accanto alla porta automatica dell’atrio. Avrà diciott’anni al massimo. Ha dovuto riconoscere i corpi dei suoi genitori. Oltre il paravento che separa il Pronto soccorso dalla rianimazione dove hanno messo i sopravvissuti, ha un fratello piccolo che gli chiede di continuo dove sono mamma e papà.

A ogni scatto, decine di teste si girano

L’unico rumore di questa giornata sospesa è quello dell’ingresso che si apre e si chiude di continuo. A ogni scatto, decine di teste si girano. Familiari, genitori, figli, avvolti in questo limbo crudele, in una incertezza che fatica sempre più a tradursi in speranza. Ieri pomeriggio è stato trovato un altro corpo senza vita, proprio mentre venivano identificate le ultime due salme recuperate dall’hotel Rigopiano. Sebastiano Di Carlo, il papà del ragazzo con il giaccone grigio, trovato poco distante dalla moglie Nadia, una delle prime vittime alle quali sono stati restituiti nome e cognome. Barbara Nobilio, consorte di Piero Di Pietro, che non si trova più. Sono ed erano tutti di Loreto Aprutino, settemila abitanti, il paese di mezza collina nell’area Vestina famoso per l’olio, per l’architettura fascista dovuta a Giacomo Acerbo, più volte ministro di Benito Mussolini, e per un municipio inagibile ormai dal 6 aprile 2009, il giorno del terremoto dell’Aquila. Anche l’ennesimo pezzo mancante di una contabilità sempre in evoluzione viene da Loreto Aprutino. Faye Dame è giunto in Italia circa tre anni fa. Ha lo status di rifugiato, ottenuto di recente dalla questura di Torino, la sua prima città italiana, perché aveva fatto richiesta dei documenti necessari per ottenere l’impiego part-time al Rigopiano, dove ha già lavorato negli ultimi due inverni. Era arrivato nel capoluogo piemontese alla fine del 2012. I fratelli che lo avevano accompagnato nel viaggio dal Senegal avevano proseguito per il Belgio e la Francia. Lui era sceso sulla costa adriatica, dove faceva le stagioni in bar, ristoranti e hotel. Ha un piccolo appartamento in affitto a Loreto Aprutino, dove si era fermato dopo il suo primo impiego abruzzese, uomo di fatica nel magazzino della Conad.

La buona volontà di una coppia pescarese

Il ventiquattresimo nome sulla liste dei dispersi è diventato tale solo grazie alla buona volontà di una coppia pescarese che aveva trascorso una vacanza al Rigopiano ed era andata via il giorno prima della valanga. Hanno aspettato di vedere se qualcuno stesse cercando anche quel ragazzo di 30 anni, del quale non c’era traccia in alcun elenco, sopravvissuti, deceduti, persone scomparse. Faye spazzava la neve, rassettava gli ambienti comuni dell’hotel, faceva piccoli interventi di manutenzione. I due clienti hanno chiamato la procura dicendo di averlo visto fino al momento della loro partenza, avvenuta alle 16.30 di martedì scorso. È bastata una verifica con il direttore dell’hotel Bruno Di Tommaso per avere conferma della sua presenza.

Il disperso che nessuno stava cercando

Il disperso che nessuno stava cercando è l’ultimo segno di un situazione in equilibrio precario. La calma che regnava ieri al Santo Spirito di Pescara è solo apparente, una tregua domenicale dovuta alla spossatezza dei parenti accampati da ormai quattro giorni sulle seggiole dell’ospedale. La vista del viceministro dell’Interno Filippo Bubbico ha avuto un effetto placebo di breve durata. «Ha detto che ci avrebbe informato come se là sotto ci fosse sua figlia, invece è subito sparito. Continuano a trattarci senza alcun rispetto». Anche Riccardo Ciferni viene da Loreto Aprutino. È lo zio dei figli di Nadia e Sebastiano Di Carlo, la coppia della quale era stato annunciato il ritrovamento, provocando l’esultanza dei parenti che erano arrivati per riabbracciarli e avevano invece scoperto che la realtà era diversa, la peggiore possibile. Questo errore è stato il peccato originale di una vicenda dove accanto all’enorme sforzo dei soccorritori c’è stata una comunicazione incerta, fatta a più voci, spesso discordanti, che hanno causato ulteriore angoscia ai familiari in attesa. «Non abbiamo bisogno di comunicati» dicono tutti mentre l’ospedale si svuota. «Ma di persone in carne e ossa che ci parlino in modo chiaro». Il ragazzo con il giaccone è uno degli ultimi ad andarsene, accompagnato dai suoi amici che lo proteggono in silenzio. Oggi sarà un’altra giornata di dolore e di speranza, per chi ancora se la può permettere.

CORRIERE.IT

 

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