È il «secolo americano» nonostante Trump
Caro Aldo, i primi atti di Donald Trump lasciano perplessi. Ancora non è chiaro quanto abbia contato sulla sua vittoria la manipolazione informatica; però l’intelligence americana l’ha confermata. È la prima volta che nella storia si verifica questo fenomeno, peraltro espressione della scienza e della tecnologia. Se è così, per conquistare il potere non ci sarà più bisogno del consenso popolare; si potrà assurgere al governo di Paesi democratici senza maggioranza, soltanto con la presenza di un esercito di hacker, magari al soldo di una potenza straniera, che agiscono senza essere individuati e combattuti. Come possiamo guardare ancora all’America come a un modello?
Enrico Viola, Taranto
Caro Enrico, scelgo la sua lettera tra le molte che esprimono disagio per il nuovo corso di Washington. Va detto che altri lettori vedono con favore quella che appare loro una svolta pragmatica e utilitaristica della politica americana.
Trump non ha vinto grazie agli hacker. È certo molto preoccupante quello che è accaduto; ma le manipolazioni digitali possono accentuare una tendenza, non provocarla. Anch’io come lei trovo pericolose le interferenze di Putin o dell’«eroe» Assange; ma questo non cambia la portata storica dell’elezione di Trump.
Considero le sue prime mosse inutilmente propagandistiche. Impedire l’ingresso a ingegneri iraniani o a studenti iracheni non farà degli Stati Uniti un Paese più sicuro, ma solo un Paese più detestato. Eppure questo sarà ancora un «secolo americano», come indica il titolo di un recente libro di Maurizio Molinari.
Ci faccia caso: se c’è una scoperta scientifica, un prodotto tecnologico, una cura medica, un caso letterario o cinematografico, viene dall’America. La superpotenza conserva la sua egemonia grazie a tre fattori: le basi militari in tutto il mondo, che Trump non smantellerà; il predominio tecnologico, che a quello militare è strettamente connesso; e la capacità di valorizzare le diversità, di attrarre le migliori intelligenze dal resto del mondo, di far contare le minoranze. Ora Trump mette in pericolo questa apertura. Eppure l’America che l’ha eletto è la stessa che otto anni fa elesse Obama; a volte sono addirittura gli stessi americani. Non a caso Trump ha vinto Stati – Wisconsin, Michigan, Ohio – in cui per due volte Obama aveva prevalso nettamente.
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