L’Italia manda il suo piano all’Ue: “Lotta all’evasione e meno spesa”

alessandro barbera
roma

Un cordiale «Dear Valdis, dear Pierre» scritto a penna, un lungo perché l’Italia non riesce mai a rispettare fino in fondo le regole, infine gli impegni per il futuro. Ormai gli scambi di lettere fra Tesoro italiano e Commissione europea sono un genere letterario. Un rituale forse inevitabile perché le forme sono forme, di certo un po’ stanco. L’oggetto del contendere fra Roma e Bruxelles è anche questa volta una cifra piuttosto contenuta: 3,4 miliardi. Uno spillo nell’enorme fienile del bilancio italiano (oltre 850 miliardi), abbastanza per costringere il ministro Padoan ad una lunga trattativa con i commissari europei.

 Nonostante i numeri, questa volta la faccenda si è rivelata più complicata del solito. Vuoi perché l’esito del referendum ha trascinato con sé il governo Renzi, vuoi perché non è ancora chiaro quando e come si voterà. Nel frattempo i problemi del Monte dei Paschi e di alcune altre banche hanno costretto il governo a caricare sul debito pubblico venti miliardi di euro. Nonostante Trump, la Brexit, i messaggi ripetuti di Renzi contro il doppio standard verso i tedeschi (ieri sul suo blog ha ricordato il surplus commerciale di Berlino) e il tentativo di Jean Claude Juncker di cambiare ricetta, dentro la Commissione europea le ragioni dell’austerità hanno ripreso fiato.

 

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Il governo Gentiloni cerca di resistere: in due capoversi si impegna a rispettare le richieste dell’Europa, spiega anche nel dettaglio come lo farebbe, ma non prende ancora impegni precisi sui tempi. L’entità della correzione chiesta dall’Ue (3,4 miliardi) non viene mai citata, perché il governo spera di trovare la strada per minimizzare i costi. Non c’è solo il problema del cosiddetto «ouput gap» (una complicata diatriba tecnica per la quale all’Italia verrebbe imposto un aggiustamento superiore al dovuto) ma il 15 febbraio arriva la prima stima definitiva dell’Istat sulla crescita del 2016. Ebbene, al Tesoro scommettono in un ritocco all’insù dello 0,8 fin qui indicato.

 

La lettera lo scrive esplicitamente: «Il Pil sarà probabilmente superiore». Padoan insiste poi sulla necessità di tenere nuovamente conto delle spese per la gestione del sisma nel centro-Italia: «Non possiamo stimare con esattezza l’impatto sulle finanze pubbliche, ma sarà probabilmente molto superiore a un miliardo già nel 2017. Per mobilitare risorse a questo fine sarà creato un apposito Fondo».

 

In ogni caso: se si trattasse di 3,4 miliardi, i tagli di spesa varranno fino a 850 milioni. Di questi solo un decimo (appena 85 milioni) verrebbero reperiti da un taglio delle agevolazioni fiscali. Gli altri due miliardi e mezzo saranno garantiti da nuove entrate. Qui la lettera si fa ancora più generica: si promette un aumento della «tassazione indiretta», delle «accise» e un rafforzamento delle politiche antievasione fin qui adottate. Quando il governo deciderà tutto questo? La lettera scrive che «le misure sono parte di una strategia che verrà dettagliata nel Programma di stabilità ed entro l’approvazione del Documento di economia e finanza». In teoria ciò dovrebbe avvenire fra il 10 aprile (data entro la quale va presentato il Def) e l’approvazione delle due Camere in maggio. Ma che accadrebbe se nel frattempo il presidente della Repubblica indicesse nuove elezioni? In quel caso l’approvazione del documento passerebbe al nuovo Parlamento e addio scadenze. L’Italia si può permettere di traccheggiare? Le cifre in ballo non sono enormi. E la sensazione è che a Bruxelles abbia compreso le condizioni politiche in cui Padoan ha dovuto scrivere il documento. Il problema sono semmai i mercati, sui quali il rischio Italia è percepito come non accadeva da anni: lo testimoniamo i rendimenti sui titoli di Stato risaliti oltre il 2 per cento.

LA STAMPA

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