Il Paese dell’immobilità
di MASSIMO GIANNINI
Capita che anche la ragione abbia i suoi torti. È il paradosso della politica. Il resto del mondo si interroga sulle devastazioni avviate da Trump, l’unico leader del pianeta che per nostra disgrazia realizza le promesse fatte prima del voto. La piccola Italia si incarta sulle elezioni anticipate volute da Renzi, l’unico leader d’Europa che per sua sfortuna non è ancora riuscito a farsi incoronare da un voto.
Dunque Giorgio Napolitano ha perfettamente ragione, quando dice che in un Paese civile si dovrebbe arrivare alla fine della legislatura, perché troppe volte abbiamo fatto ricorso allo scioglimento anticipato delle Camere. Ed ha ancora più ragione quando aggiunge che per togliere la fiducia a un governo servono solide argomentazioni politiche, non stolide rivendicazioni personali. Ma il presidente emerito ha anche torto, quando sottovaluta l’involontario contributo alla crescita dei populismi derivato proprio dagli ultimi quattro governi consecutivi mai eletti. Del tutto legittimi sul piano della democrazia costituzionale, ma un po’ meno legittimati su quello della democrazia rappresentativa.
Anche Matteo Renzi ha ragione, quando osserva che dopo un pronunciamento netto come il referendum è necessario ridare al più presto la parola al popolo sovrano. Ed ha ancora più ragione quando aggiunge che l’unico modo per evitare il caos è andare a votare puntando al 40%. Ma ha perfettamente torto, per altre mille ragioni uguali e contrarie.
Dal punto di vista dell’interesse nazionale, sarebbe inaccettabile andare a elezioni anticipate solo perché conviene a lui, che è atterrito dal fantasma dell’oblio politico-mediatico. Dopo il folle azzardo sul referendum, sarebbe solo un altro giro di roulette russa. Dal punto di vista dell’interesse della sinistra, sarebbe intollerabile accelerare la rincorsa alle urne senza prima passare per un congresso del Pd. Nonostante l’ultima disfatta, Renzi ha mancato tutte le occasioni possibili per una riflessione seria e sincera sugli errori del passato e sulle sfide del futuro. Zero contenuti, zero titoli. A Rimini ha richiesto ai suoi il solito “atto di fede”: seguitemi, sono il vostro unico capo. Sul web ha rilanciato i suoi soliti proclami sulle tasse: “Rottamiamo Dracula”. Non aveva giurato “più cuore, meno slide”? Qual è, al di là degli slogan, la carta dei valori del nuovo riformismo italiano, di fronte alle imperiose “letterine” dell’Europa e alle velenose tossine dell’America?
Sul fronte opposto, Pierluigi Bersani ha altrettanta ragione, quando invoca il congresso e avverte l’ex premier che con questo strappo il Partito democratico muore. Ed ha ancora più ragione quando aggiunge che con il meccanismo elettorale lasciato sul campo dalla Consulta la quota dei capilista bloccati (e quindi dei parlamentari nominati) lievita addirittura al 70%. Ma ha anche torto perché non vede che il Pd (più che morto), forse non è mai nato, e poi perché usa la prospettiva di un nuovo Ulivo (l’unico esperimento ambizioso tentato dal centrosinistra dopo la caduta del muro di Berlino) come una minaccia da brandire contro Renzi, e non come un’opportunità per ricostruire un’area progressista in macerie. E la stessa cosa, volendo, si può dire del D’Alema scissionista e “pronto a tutto”. Qual è stato, al di là della tattica, il contributo della minoranza del Pd alla costruzione di una nuova piattaforma programmatica? Su quali basi politico-culturali dovrebbe nascere l’ennesima Cosa Rossa, alternativa o a sinistra di Renzi?
La somma delle ragioni e dei torti produce una pericolosa entropia. Lo spread a ridosso di quota 200 ne è il riflesso automatico. L’Italia è paralizzata, di fronte a un bivio insidioso. Può imboccare la strada voluta da Renzi (il voto anticipato). In questo caso rischia l’ingovernabilità. Con il Legalicum non vince nessuno: l’asticella del 40% è fuori dalla portata di tutti. Servono coalizioni spurie, o ammucchiate secondo i punti di vista. Se arrivano primi i Cinque Stelle, può nascere solo un governo Grilloleghista, cioè il Fronte Popolare contro l’euro e contro l’Europa. Se arriva primo il Pd, può nascere solo un governo Renzusconi, cioè il Fronte Nazareno delle larghe intese. Due prospettive: l’una rovinosa, l’altra inquietante.
L’Italia può invece imboccare la strada voluta da Mattarella/Napolitano (il prosieguo fino alla fine della legislatura). Ma in questo caso, nei precari equilibri politici che viviamo, l’Italia rischia l’immobilità. Che può fare di qui al 2018 il pur volonteroso Gentiloni, con l’ombra di un Banco toscano alle spalle e la spada di Bruxelles sulla testa? Non molto. Una manovrina di pura sopravvivenza, per evitare la procedura d’infrazione. Non una riforma fiscale, non un piano per la crescita, forse neanche il doveroso decreto contro la povertà.
Siamo sospesi, tra l’ingovernabilità e l’immobilità. Siamo in bilico, tra l’eterno riposo (vedi la tragedia dell’Hotel Rigopiano) e l’eterno ritorno (vedi la farsa del Mattarellum-Porcellum-Italicum-Legalicum). Qualunque sia la scelta che faremo, la condizione è ideale per far lucrare nuove rendite elettorali alle forze anti-sistema. Cioè ai Grillo e ai Salvini, i “trumputinisti” tricolori. I più bravi a scommettere sul peggio, perché nessuno sembra capace di contrapporgli il meglio.
REP.IT