Padoan ora parla chiaro: ci sarà una manovra bis
di ROBERTO PETRINI
“Italiano tu molto furbo ma non pensare di frekare me con gioko di tre karte”. Non ci si può sorprendere che il germanico medio, spaventato dal lassismo mediterraneo ed eternamente sospettoso verso le pratiche della Penisola, oggi sia con la guardia alzata. Così Padoan, alla fine, ha rotto gli indugi e, in Parlamento, ha annunciato la manovra-bis, forse prima di aprile.
Brevemente i fatti: il 17 gennaio la Commissione europea ci invia una lettera in cui ci intima una correzione, “con rapida attuazione legale delle misure”, di 3,4 miliardi sul bilancio di quest’anno e minaccia, in caso contrario, l’avvio di una procedura d’infrazione. Il punto è che stiamo rallentando la corsa verso il pareggio di bilancio che ci consente la riduzione del debito. Stop.
Pier Carlo Padoan si attesta su una posizione di attendismo attivo, dice che l’Italia “farà le valutazioni del caso” e decideremo “se, come e quando intervenire”. Il presidente del Consiglio Gentiloni, da poco insediato, dice “no a manovre depressive”. E’ il primo ossimoro della vicenda: lascia aperta la strada al rispetto delle regole, ma al tempo stesso lo nega. Infatti: se di correzione di conti si tratta, va fatta con tagli e tasse, e l’effetto depressivo c’è. C’è poco da fare. Se si fa un maquillage la Commissione lo boccia.
Arriva il drammatico terremoto del 18 gennaio e nei giorni successivi ci si comincia a rendere conto che, oltre alla tragedia dell’hotel di Rigopiano, i danni sono ingenti e saranno valutati in un miliardo. L’Italia, coglie la palla al balzo, inserisce le indispensabili risorse nella trattativa e chiede un miliardo in più di flessibilità (oltre allo 0,18 del Pil già assegnato nel 2017). La situazione si sfilaccia ed emerge la tentazione, soprattutto nel partito di maggioranza ma coltivata anche a Palazzo Chigi, di rompere con Bruxelles. Si argomenta: se ci sono le elezioni, non si può fare una manovra, sottointeso “impopolare” (ed è vero perché accise, Iva e meno detrazioni vorrebbe dire più tasse), e dunque è meglio rispondere picche. Senza contare che una vena anti-europea sarebbe una buona carta da spendere nella competizione con leghisti, grillini e trumpisti.
Non si considera l’altra faccia della medaglia: nel 2017 si alzeranno i tassi e a fine anno finirà l’ombrello del quantitative easing di Draghi, due fenomeni che appesantiranno il nostro debito pubblico. Già da quest’anno con cartellino rosso ci dovremo rivolgere ai mercati, con un debito alto: nel 2017 vanno a scadenza 216 miliardi di titoli a medio lungo termine, 30 miliardi in più rispetto allo scorso anno, cui si si aggiungono 107 miliardi di Bot.
Matteo Renzi guarda tuttavia alle elezioni tiene alto il tono dello scontro con Bruxelles: declassa la lettera a “letterina” e ricorda, come in verità ha fatto con coraggio durante la sua permanenza a Palazzo Chigi, l’enorme surplus commerciale della Germania.
Da Dombrovskis e da Moscovici arrivano inviti a rispettare le regole, conditi in vario modo dall’avvertimento che è tutto interesse dell’Italia fare la manovra-bis. Velate minacce: non scherzano, perché comunque ci sono gli occhi vigili della Merkel a controllare.
Pier Carlo Padoan, che siede dove hanno seduto Ciampi e Tommaso Padoa-Schioppa, è un economista competente e avverte pubblicamente il 27 gennaio che la procedura sarebbe un “grosso problema per la reputazione” dell’Italia e “una inversione ad U rispetto a quello che è stato costruito fino ad ora”. La seconda affermazione è quella più drammatica: se si guardano gli anni da Maastricht in poi quanti sforzi l’Italia ha fatto in nome dell’Europa (pensioni, privatizzazioni, deregolamentazioni ecc.)? E quanti sforzi sono stati fatti per convincere la gente che era la direzione giusta? Vogliamo gettare tutto a mare?
Il 1° febbraio arriva la lettera. E’ chiaramente un compromesso tra le due anime del governo, ma attenzione la manovra è scritta in chiaro: un quarto di tagli alle spese intermedie e riduzione delle agevolazioni fiscali, tre quarti tra accise, imposte indirette e stretta sull’evasione. Non sarà un grande sforzo di fantasia ma è una tradizionale manovra bis che convincerebbe anche il più ostile dei ragionieri di Bruxelles. Il problema è che la cifra complessiva non è esplicitata e i tempi restano vaghi, anche se si comunica l’intenzione di prendere in provvedimento entro l’arco temporale del Def. Se questo significa che uno o più decreti arriveranno di qui al 10 aprile (quando le norme prevedono il varo del Def) Bruxelles potrebbe anche accettare. Ma se si resta nella ambiguità di inserire le misure nel Documento di programmazione bisogna spiegare che il Def è un documento contabile e programmatico e quello che ci si scrive non si traduce in legge se non è seguito da un decreto.
“Italiano parla kiaro”, avrebbero ragione a dire a Berlino. Anche perché dopo l’impegno della lettera Padoan ha fatto un tweet dove dice che non si faranno “manovre estemporanee” (improvvisate, senza preparazione) e il presidente del Consiglio avverte che “rispettiamo ma regole ma senza prendere decisioni che abbiano effetto depressivo su economia e crescita”. “Italiano… noi non kapire.”. E allora il titolare della cattedra che fu di Quintino Sella in Parlamento ha parlato chiaro, disposto a tradurre in inglese: “La correzione dei conti dello 0,2 si farà entro aprile, presumibilmente anche prima, l’aggiustamento è indispensabile, perché una procedura d’infrazione sarebbe allarmante perché riduce sovranità e fa aumentare i tassi d’interesse”.
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