Perché “Mafia Capitale” è stata archiviata
Chiara Degl’Innocenti
Mafia Capitale è stata archiviata. Non sono emersi “elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio” e così la posizione di 113 indagati nell’inchiesta viene, appunto, archiviata perché il reato al centro di tutte le indagini, l’associazione di stampo mafioso regolata dall’articolo 416 bis, non sussiste.
L’ex sindaco Gianni Alemanno, scagionato. L’ex amministratore delegato di Eur S.p.A, Riccardo Mancini, scagionato. E scagionati anche gli avvocati Michelangelo Curti, Domenico Leto e Pierpaolo Dell’Anno. Idem per il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e il suo ex capo di gabinetto Maurizio Venafro. Disposta in camera di consiglio la restituzione degli atti al pubblico ministero di Salvatore Forlenza, Salvatore Buzzi, Carminati e Giovanni Fiscon, all’epoca direttore generale della municipalizzata, dell’ex presidente della commissione Bilancio del comune, Alfredo Ferrari e del’ex consigliere comunale della lista civica “Marino sindaco” Luca Giansanti.
L’elenco è lungo, i nomi si sprecano. Le accuse, no.
Il blitz era partito nel 2014 con gli arresti delle prime 37 persone. Un vero e proprio terremoto nella vita istituzionale della Capitale che da quel momento era diventata mafiosa. Il primo ad essere bloccato infatti nell’operazione “Mondo di mezzo” era stato il già citato capo del Clan, Massimo Carminati, ex Nar ed ex appartenente alla Banda della Magliana, sotto processo per il 416bis, e ora invece scagionato dalla contestazione di associazione per delinquere finalizzata a rapine e riciclaggio (come per Ernesto Diotallevi e Giovanni De Carlo, che erano sospettati di essere a Roma i referenti di Cosa Nostra, oggi salvi).
Con Carminati all’epoca erano finiti in manette anche ex amministratori locali, manager di municipalizzate e imprenditori per associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra quei nomi c’era anche quello di Gianni Alemanno.
In particolare per l’ex sindaco di Roma le accuse erano più di una: corruzione e illecito finanziamento. Ma nei suoi confronti dell’ex sindaco i pm contestavano anche il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, appunto, e quello di aver ricevuto somme di danaro per il compimento di atti contrari ai doveri del suo ufficio, attraverso la fondazione Nuova Italia di cui era presidente. In ballo, 125 mila euro per i fondi illeciti ricevuti tra il 2012 ed il 2014. Alemanno poi avrebbe preso anche 75 mila euro camuffati da finanziamento per cene elettorali, 40 mila euro che gli sarebbero stati erogati per la Nuova Italia, più altri 10 euro ma senza una causale.
Ma, se di mafia non si può più parlare, per lui restano ancora in piedi le accuse per corruzione e finanziamento illecito, l’altro filone di indagine per cui andrà a processo a maggio prossimo.
Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, era saltato fuori invece come indagato per sospetto concorso in corruzione per due episodi risalenti 2011 e nel 2013 e per turbativa d’asta a causa delle dichiarazioni di Salvatore Buzzi, fondatore della cooperativa di ex carcerati “29 Giugno” a capo anche lui di un’organizzazione di tipo mafioso. Principale imputato nell’inchiesta, Buzzi avrebbe raccontato alla magistratura ciò che c’era dietro il nuovo palazzo della Provincia dell’Eur, ossia che l’amministratore Zingaretti avrebbe acquistato prima della sua costruzione.
In archivio alcune accuse anche per Maurizio Venafro, indagato per corruzione, la ex presidente del primo municipio della capitale, Sabrina Alfonsi, indagata per concorso in corruzione, l’ex consigliere comunale della lista Marchini, Alessandro Onorato, anche lui indagato per concorso in corruzione, il presidente del Consiglio regionale Daniele Leodori, per turbativa d’asta, e per l’ex delegato allo sport della Giunta Alemanno Alessandro Cochi.
Nell’elenco dei prosciolti figurano anche i nomi degli imprenditori Luca Parnasi, Luigi Ciavardini, Fabrizio Pollak e Gianluca Ius, e poi Leonardo Diotallevi, figlio di Ernesto, l’allora capo della segreteria personale di Alemanno Antonio Lucarelli e l’ex consigliere di Roma Multiservizi Stefano Andrini.
Resta accusato di mafia invece il consigliere regionale di Forza Italia, Luca Gramazio che il gip Flavia Costantini, nell’ordinanza che ha portato al suo arresto nel 2015 sosteneva: “Mette al servizio dell’organizzazione le sue qualità istituzionali, svolge una funzione di collegamento tra l’organizzazione la politica e le istituzioni, elabora, insieme a Testa, Buzzi e Carminati, le strategie di penetrazione della Pubblica Amministrazione, interviene, direttamente e indirettamente nei diversi settori della Pubblica Amministrazione di interesse dell’associazione”.
Niente mafia insomma, o quasi. Perché, come scrive Andrea Feltri su La Stampa, la Piovra che ha stritolato Roma è solo un moscardino.
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