Il consenso dei politici alieni
Donald Trump e Silvio Berlusconi sono diversissimi tra loro, e solo la nostra superficialità pigra è incapace di coglierne le differenze. Ma è identico, nel corso degli anni, il muro di incomprensione che impedisce alle élite, a chi fa opinione, a chi si ritiene membro di diritto e per nascita della parte giusta della storia, a chi è offuscato da un’invincibile repulsione estetica ed etica per i nababbi alieni che sanno conquistare l’immaginario del popolo becero e più manipolabile di capire cosa vogliono da loro gli elettori che li hanno votati e continueranno a votarli. Sperano, le élite ancora stordite da un evento inesplicabile e traumatizzante, che una gaffe, un passo falso, una dichiarazione sbagliata, un incidente di percorso, un’inchiesta giudiziaria, un’esagerazione smodata, un comportamento censurabile, un tweet deplorevole, uno strafalcione possano minare il consenso da loro accumulato. Si immaginano gli elettori sempre chini sui giornali e attenti ai telegiornali a seguire l’agenda degli atti mancati, dei provvedimenti andati a vuoto, delle promesse mantenute. E non riescono, proprio non riescono con tutta la buona volontà, a capire qual è il rapporto di identificazione emotiva tra questi «alieni» e il popolo che si entusiasma di loro. Per questo, frustrati e livorosi, finiscono per insultare il «popolo bue» e a dar ossessivamente del «populista» a chi vellica la parte peggiore del popolo per ingraziarsene i favori. Favori che in democrazia si chiamano, o si dovrebbero chiamare, semplicemente, consenso.
Oggi il fenomeno Berlusconi è in declino. C’è chi ne ha decretato la fine, forse troppo precocemente, ma sul «declino», visto che Forza Italia veleggia su livelli elettorali incomparabilmente più modesti di prima, non ci dovrebbero essere dubbi. Ma il fenomeno Berlusconi ha fatto in tempo a esplodere, governare, toccare l’apice e poi declinare, senza che i suoi detrattori più veementi siano stati capaci di decifrarne il senso. Senza capire, per esempio, la forza d’impatto che il messaggio sulle tasse da ridurre (e mai ridotte) ha avuto su una fetta dell’elettorato che vede nel Fisco vessatorio, in uno Stato opprimente, in un controllo sociale asfissiante il nemico assoluto e nel berlusconismo la via di una liberazione, la strada del riscatto per chi non ha trovato posto nelle narrazioni sino ad allora dominanti nella politica: il valore dell’individuo, della libertà economica, del ceto medio angariato, della spontaneità sociale mortificata dalla presenza ingombrante dello statalismo e del dirigismo. La domanda delle élite stupefatte e sotto choc era: come fanno a votare Berlusconi? Ma la vera domanda sarebbe stata: come fanno le élite a non capire perché per tanti anni una parte dell’elettorato ha visto in Berlusconi il suo faro?
Il Trump statalista e protezionista ha vinto le elezioni con un messaggio opposto a quello del «liberista» Berlusconi. Ma con Trump alla Casa Bianca il fenomeno dell’incomprensione dell’establishment politico e culturale sembra ripetersi. Quanto più il nuovo presidente degli Stati Uniti accelera con annunci traumatici ed esplosivi, frenato però dalle garanzie legali e dai bilanciamenti della grande democrazia americana, tanto più nell’opinione autorevole antitrumpista si fa sempre più urgente l’attesa di una caduta, di un incidente che azzoppi il grande nemico, senza voler capire che la direzione di marcia di Trump è esattamente ciò che il suo elettorato si aspetta da lui, del tutto sorda alla quotidiana bordata di accuse che il mondo delle élite gli rivolge con crescente indignazione. Se non si colma questo divario, il muro di incomprensione resterà intatto. E lo stupore e lo sconcerto a dominare per chissà quanto tempo.
CORRIERE.IT
This entry was posted on sabato, Febbraio 11th, 2017 at 08:14 and is filed under Editoriali - Opinioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.