Voto a ottobre, la strada del Colle che può convincere Renzi
Fino a un paio di settimane fa, con chiunque parlasse, il segretario del Pd Matteo Renzi era categorico: «O si vota a giugno, o si finisce a febbraio del 2018». Impossibile, a suo modo di vedere, una chiamata alle urne in autunno. «C’è la legge di bilancio. E poi non bisogna fare scattare i vitalizi dei parlamentari», ha ripetuto spesso ai suoi. Ma, negli ultimi giorni, nella sua testa continuano a ronzare le considerazioni che gli ha fatto più volte il capo dello Stato, Sergio Mattarella: è vero che non è un tabù andare a votare a giugno, ma appuntamenti internazionali e la necessità di armonizzare le leggi elettorali per Camera e Senato, operazione che potrebbe avere tempi più lunghi del previsto, rendono difficile quel traguardo. Lo stesso presidente della Repubblica, d’altra parte, sa bene che arrivare alla scadenza naturale del 2018 sarebbe chiedere molto, forse troppo, a una legislatura virtualmente terminata con il referendum del 4 dicembre. Per questo, lo scenario più ragionevole porta al voto tra la fine di settembre e i primi di ottobre: un percorso che indurrebbe il Colle – a patto che la legge elettorale sia approvata – a sciogliere le Camere tra la fine di luglio e i primi di agosto.
La prospettiva sta diventando suggestiva agli occhi di Renzi. Vero è che la sua prima scelta resta giugno. Ma da qui a là, appuntamenti-vetrina di livello internazionale come l’anniversario del Trattato di Roma, a marzo, o il G7 di Taormina a fine maggio, sono come macigni sulla strada di una campagna elettorale.
Per non parlare della discussione sul sistema di voto: in teoria già previsto in calendario per il 27 febbraio in Aula, secondo chi ne capisce di tempi del Parlamento non ci arriverà mai per quella data. Domani si riunirà l’Ufficio di presidenza della Commissione Affari costituzionali, che per prima deve occuparsi dell’argomento. Dopo aver rinviato l’inizio della discussione all’indomani della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, ora dovrebbe mettersi al lavoro: ma l’articolo 108 del regolamento di Montecitorio, che spiega proprio come lavorare sulle sentenze della Consulta, potrebbe rallentare i lavori.
Si tratta di ostacoli oggettivi, difficili da scansare anche per chi, come il segretario del Pd, vorrebbe correre verso il voto. E allora, la seconda scelta potrebbe diventare l’autunno. Certo, però, in quel periodo cade la legge di bilancio, la più importante e delicata della vita dello Stato. Ma proprio per questo, e perché l’Europa potrebbe chiederci nuovi sacrifici non concedendo più margini di flessibilità, costringendoci quindi a una norma lacrime e sangue, al Colle pensano che non sarebbe forse auspicabile lasciare questo compito a Gentiloni e alla sua squadra, un esecutivo di servizio nato per affrontare alcune emergenze e poi traghettare al voto. Meglio sarebbe che se ne facesse carico un governo nuovo, pienamente legittimato a chiedere sforzi dal voto popolare: un esecutivo che, tra l’altro, potrebbe ancora godere in quella fase dello stimolo dato dalla Bce con il quantitative easing, destinato a finire con il 2018.
Resta un altro problema, individuato da Renzi nell’ipotesi del voto in autunno: a metà settembre scatteranno le pensioni dei parlamentari e questo vorrebbe dire, come ripetono i suoi fedelissimi, «consegnare ai grillini la campagna elettorale già fatta». Quanto il segretario sia preoccupato da quell’aspetto, lo ha rivelato un paio di settimane fa tramite una dichiarazione tv che ha fatto infuriare metà dei suoi deputati. Ma, per questo, tra i renziani di stretta osservanza già si è diffusa un’ipotesi: quella di intervenire sul regolamento che ordina la questione. Cambiando la norma, magari facendo sì, avanza l’ipotesi un fedelissimo del segretario, che i contributi versati da ciascun eletto confluiscano nella propria posizione previdenziale, senza che il passaggio al Parlamento dia diritto a una pensione a parte. «Non ci stiamo ancora lavorando, ma questo non vuol dire che non si potrebbe fare», conferma il capogruppo Pd Ettore Rosato.
A quel punto, i maggiori ostacoli al voto verso fine anno sarebbero rimossi. E il capo dello Stato non avrebbe nulla da eccepire a sciogliere le Camere. Purché, naturalmente, una legge elettorale omogenea abbia finalmente visto la luce.
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