A Palermo tre fiction di mafia. Gli orrori di Cosa nostra sono il nuovo western italiano
Libero Grassi passeggia in piazza Bellini, con la schiena dritta ma carica di pensieri. Poco più in là, nel palazzo municipale, il cronista del Giornale di Sicilia Mario Francese fa domande scomode al sindaco mafioso Vito Ciancimino durante una conferenza stampa. Mentre l’agente Emanuela Loi – che morirà nella strage di via D’Amelio, unica poliziotta donna uccisa dalla mafia – si aggira pensosa sul lungomare dell’Addaura insieme con un collega. Lontani nel tempo e nello spazio reali, si incrociano in questi giorni a Palermo, con seguito di troupe e di cameramen. Si girano tre fiction su di loro, vittime oscurate dal mito dei grandi eroi, e adesso protagoniste del progetto di Taodue per Mediaset “Liberi sognatori. Le idee non si spezzano mai”. Un grande ritorno delle serie sulla mafia, che alimentano da un secolo l’immaginario sulla Sicilia.
Un progetto in quattro film (ce n’è anche uno dedicato a Renata Fonte, assessore comunale uccisa in Salento), tre dei quali su vittime di Cosa Nostra. E sì. In principio fu La Piovra, il successo clamoroso di dieci miniserie andate in onda dal 1984 al 2001, con il commissario Cattani che combatteva contro boss di fantasia ma inquadrati nel teorema buscettiano del “terzo livello” di politici e affaristi inconoscibili. Poi arrivò l’epica degli eroi e dei carnefici: le fiction su Falcone, su Borsellino, su padre Puglisi, ma anche quelle su Totò Riina (Il capo dei capi) e Bernardo Provenzano (L’ultimo padrino), grandi successi di pubblico accompagnati da una scia di polemiche sul rischio di mitizzazione dei boss. Poi fu la volta di Pif, con il suo La mafia uccide solo d’estate, film che ha poi ispirato la serie tv: le stragi e la violenza raccontate attraverso lo sguardo candido e scanzonato di un bambino palermitano.
Adesso è l’ora degli eroi rimasti tra le pieghe della grande storia, “persone cui si intende restituire voce e dignità, dopo anni di ingiusto isolamento istituzionale e oblio mediatico”, come spiega il produttore Pietro Valsecchi. E basta guardare negli occhi Giulio Francese, figlio di Mario, per capire che cosa significhi adesso questo film: “Per me si realizza un sogno: finalmente si torna a parlare di mio padre e di mio fratello Giuseppe, si raccontano uomini di grande passione, bontà e tenacia”, dice.
Già, perché è grazie alla testardaggine del fratello che l’inchiesta sul delitto avvenuto nel lontano 1979 fu riaperta e i colpevoli condannati, quel fratello che dopo la sentenza di primo grado, il 3 settembre del 2002, lasciò un biglietto con questa frase: “Ho svolto il mio compito, ho fatto il mio dovere, vi abbraccio tutti, scusate”. E poi si uccise. Il film, con Claudio Gioè nei panni di Mario Francese e Marco Bocci in quelli di Giuseppe, vede il primo combattere la sua battaglia di verità sulla mafia emergente, quella dei Corleonesi, in una città dove i boss andavano a braccetto con l’alta società, e il secondo proseguire quella lotta nel nome di un padre visto morto a dodici anni sotto casa. Basta guardare gli occhi di Alice e Davide Grassi, i figli di Libero e di Pina, la donna che continuò la battaglia del marito dopo che lui, nel 1991, era stato ucciso nel silenzio delle istituzioni e dei colleghi imprenditori per non avere ceduto al racket delle estorsioni. Una battaglia solitaria anche la sua, fino al 2004, quando Palermo si svegliò tappezzata da una scritta: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Era nato Addiopizzo. “Potrebbero essere i miei nipoti, perché la pensano come me”, sorrise lei, scomparsa l’anno scorso. Giorgio Tirabassi, che dà il volto a Libero Grassi nel film, è crollato sul marciapiede l’altro giorno in via Sammartino nella scena del delitto, a un paio di chilometri di distanza dal vero luogo dell’agguato.
Bisogna andare invece fino a Cagliari per essere attraversati dalla storia di Emanuela Loi, interpretata da Greta Scarano. Uno scricciolo di 24 anni arrivato dalla Sardegna alla Sicilia nel pieno delle stragi, una ragazza schierata nella scorta di Borsellino, e morta dilaniata dalla bomba che uccise il giudice un quarto di secolo fa. Già, sono passati venticinque anni e forse è anche per questo che l’epopea sulla mafia, infinita come un western, trova adesso nuova linfa. Come se, un po’ più lontana dalla cronaca, possa ora diventare storia.
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