All’Ikea catalogo kosher per ebrei ultraortodossi: senza donne e bambine
Catalogo “kosher”. È stato battezzato così lo speciale catalogo Ikea destinato alla comunità ebraica ultraortodossa di Israele e realizzato interamente senza fotografie di donne o bambine.
Una pubblicazione che ha sollevato le critiche dei clienti laici e dei gruppi femministi. La catena di arredamento svedese ha in Israele tre punti vendita e mira a raccogliere le attenzioni della comunità ultraortodossa che nel Paese rappresenta l’8-10% della popolazione.
Alcuni mesi fa, in un paesino popolato da ebrei ultraortodossi, alcuni sconosciuti tolsero dalle cassette delle lettere di vari edifici i cataloghi Ikea e di altre imprese locali, buttandoli in un bidone, proprio perché convinti che offendessero la sensibilità della comunità. Situazione che si verifica spesso in queste comunità anche con riviste generaliste. Da qui l’idea di Ikea di stampare un catalogo “kosher”.
Anche nei prodotti la pubblicazione cerca di rispecchiare le esigenze della comunità, offrendo ad esempio tavoli grandi per famiglie numerose, scaffali solidi, letti o sedie pieghevoli e letti a castello. E così fanno le descrizioni delle immagini, con riferimenti ai costumi religiosi. Un esempio tra tutti il “tavolo per lo shabat”.
La distribuzione del catalogo, con prezzi identici a quello classico, ha generato le proteste delle femministe e della parte laica della società. E l’ironia è scattata anche sul web. “Dove è andata la madre?”, scrive un utente israeliano sui social network. E un altro: “Stupendo! Non sapevo che nella comunità ultraortodossa ci fossero così tante famiglie monogenitoriali!”. Dal canto suo Ikea si è limitata a spiegare che il catalogo “kosher” è stato realizzato per “permettere anche al pubblico religioso e ortodosso di godere dei prodotti e delle soluzioni in accordo con i propri costumi e il proprio stile di vita”. Il catalogo non è diffuso via internet, ma è distribuito unicamente negli ambienti ultraortodossi, anche se è disponibile per tutti coloro che lo richiedano via posta.
IL GIORNALE