Il mestiere di genitore
IL CAFFE’
Come si può giudicare la madre di Lavagna, che ha temuto di vedere scomparire il figlio adolescente dentro una nuvola di spinelli? Lo ha sgridato, ha provato a capirlo e a farsi capire. Si è improvvisata assistente sociale, investigatrice, questurina. Fino a quando si è rassegnata a rendere pubblica la sua angoscia, parlandone con i finanzieri ai quali ha aperto le porte di casa. È stato proprio durante la loro perquisizione che il ragazzo si è tolto la vita. No, non la si può giudicare. Ci si può solo azzardare a indossarne i panni. Quelli di un genitore alle prese con un figlio irrequieto nel turbinio dell’adolescenza, l’età in cui le comunicazioni in famiglia risultano più disturbate.
Magari esistesse un prontuario della madre perfetta, una sensibilità che funzioni sempre e con tutti. A volte ci si dimentica quanto sia arduo assumersi la responsabilità di educare un altro essere umano. Sarà per questo, forse, che alcuni la rifuggono. Gli altri la affrontano come possono, mettendoci dentro a loro volta le proprie fragilità. E magari si ritrovano come quella madre, sul pulpito di una chiesa dove si celebra l’ultimo funerale a cui avrebbe voluto assistere, sorprendendosi a esorcizzare la morte e l’immancabile senso di colpa con parole piene di vita. Nessuno si impossessi del suo dolore o la trasformi in una bandiera della campagna proibizionista. La signora di Lavagna non è Giovanardi. È solo una madre sconfitta che si interroga su quanto sia difficile il suo mestiere.
This entry was posted on giovedì, Febbraio 16th, 2017 at 08:57 and is filed under Editoriali - Opinioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.