Licenziamenti, crolla il contenzioso tra lavoratori e aziende

I dati che emergono dal censimento permanente dei procedimenti giudiziari in materia di lavoro sono impressionanti. È già di per sé notevolissima la riduzione del numero complessivo delle liti davanti alle sezioni specializzate, nel settore privato: dal 2012 al 2016 sono diminuite di un terzo. Ma ancora più drastica è la riduzione in atto, nello stesso settore, delle liti in materia di licenziamenti e di contratti a termine: nello stesso quinquennio il numero di questi procedimenti giudiziali si è ridotto del 69 per cento.

La legge

I dati relativi alle cause in materia di lavoro privato e pubblico sono stati ottenuti alla fonte, cioè dal ministero della Giustizia, con grande difficoltà. La prima cosa che dobbiamo chiederci è: perché tutta questa difficoltà? La legge stessa n. 92 del 2012, la cosiddetta legge Fornero, che ha innescato questo processo virtuoso di allineamento del tasso italiano di contenzioso in materia di lavoro ai livelli degli altri maggiori Paesi europei, prevede espressamente il monitoraggio degli effetti prodotti, in funzione di una valutazione pragmatica e rigorosa dell’impatto della nuova normativa. Ma, se anche la legge non lo prevedesse, quale mai potrebbe essere un motivo serio per non pubblicare e aggiornare permanentemente l’intera serie di questi dati fin dall’inizio del secolo — e non solo quella successiva al 2011 — in modo che chiunque possa studiarli e discuterne?

Meno liti

L’altra cosa, non meno importante, su cui dobbiamo interrogarci è il significato di questo fenomeno, che i tecnici indicano con l’espressione «deflazione del contenzioso» e che si manifesta in queste dimensioni soltanto nel settore del lavoro privato (nel settore pubblico il contenzioso, sempre di competenza dei giudici del lavoro, nello stesso quinquennio si è ridotto soltanto del 13 per cento, a fronte di una riduzione anche della platea interessata).

Per individuare con precisione la causa del fenomeno occorrerà esaminare pure i dati relativi agli anni precedenti al 2012, ancora non disponibili. Sulla riduzione dei procedimenti in materia di licenziamenti è comunque ragionevole ipotizzare che abbia fortemente influito la nuova disciplina contenuta nella stessa legge del 2012 sopra citata: essa, infatti, ha ridotto la «posta in gioco», limitando drasticamente la discrezionalità del giudice nel disporre la reintegrazione nel posto di lavoro e ponendo dei limiti precisi, da 12 a 24 mensilità, al risarcimento ottenibile dal lavoratore nel caso di sentenza favorevole, che invece prima era illimitato e poteva raggiungere cifre colossali nel caso in cui il procedimento si fosse protratto per molti anni. Ridurre la posta in gioco significa ridurre l’alea del giudizio, quindi rendere più facile la conciliazione tra le parti, che evita la lite giudiziale. Corrispondentemente, infatti, fin dal 2013 si era registrato un brusco aumento delle conciliazioni, soprattutto in materia di licenziamento per motivo «oggettivo», cioè economico od organizzativo.

La legge Treu

Non mancherà, prevedibilmente, chi indicherà in questo calo dell’attività di avvocati, giudici e cancellerie una conferma di quello «smantellamento delle protezioni», che dalla legge Treu del 1997 in poi viene immancabilmente denunciato a ogni nuova legge in materia di lavoro. In realtà non vi è alcuna evidenza che la legge del 2012 abbia causato un aumento dei licenziamenti in rapporto alle assunzioni. Per converso, nell’ultimo biennio si è assistito a un netto aumento del numero degli occupati: 700.000 in più, dei quali due terzi a tempo indeterminato. Cioè il numero complessivo delle cessazioni del rapporto, che all’inizio del quinquennio era superiore a quello delle assunzioni, da 2 anni è inferiore. Ciò che stiamo smantellando è solo la peculiarità negativa del nostro Paese, per cui fino a qualche anno fa ogni licenziamento generava quasi automaticamente una controversia giudiziale. L’unica categoria che ne traeva sicuramente un cospicuo beneficio era il ceto forense. Ora il drastico calo del tasso del contenzioso in questa materia mostra che sta cambiando davvero la cultura del lavoro e industriale nel nostro Paese. Alla produttività del lavoro, quindi anche alla sua retribuzione, fa bene il fatto che sia più fluido e meno costoso lo spostamento delle persone dalle imprese marginali a quelle più forti, più capaci di valorizzarlo. Nell’era della globalizzazione — che non si arresterà certo per ordine di Trump — è un’illusione quella di difendere la sicurezza e il benessere dei lavoratori col tenerli aggrappati con le unghie, coi denti e con le carte bollate alle vecchie strutture produttive: la difesa di gran lunga più efficace consiste nell’assisterli e sostenerli economicamente nel passaggio dalle vecchie alle nuove.

CORRIERE.IT

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