L’isola Cayman d’Italia
Ieri a Milano il sindaco Sala e il ministro dell’Economia Padoan hanno varato un progetto che potrebbe portare a incentivi fiscali per i manager e le società della comunità finanziaria europea in cerca di una nuova piazza il giorno in cui la City di Londra «chiuderà» per via della Brexit.
Meno tasse in cambio di più affari e di una maggiore centralità sullo scacchiere internazionale è una ricetta perfetta, al contrario di quella che si sono dati i siciliani siamo sempre in Italia di meno tasse in cambio di più mafia.
Ieri abbiamo riportato l’audizione choc alla Camera del capo degli esattori siciliani. Politici, società, comuni cittadini le tasse semplicemente non le pagano: 52 miliardi di buco in dieci anni. E oggi raccontiamo la beffa nella beffa: in quella Regione un esercito di 886 avvocati assunti dall’agenzia di riscossione regionale è riuscito a recuperare solo l’otto per cento dell’ammanco. Come dire: cornuti e mazziati, perché di certo questi signori non lavorano gratis.
Sapevamo della Sicilia come di un paradiso naturale, non in queste dimensioni di un paradiso fiscale. Una sorta di isola Cayman (centro di raccolta mondiale dell’evasione) fai da te. La differenza è che nel mare delle Antille moltiplicano i soldi, noi invece li bruciamo. È vero che in Sicilia c’è una sorta di doppia tassazione: da una parte il pizzo alla mafia e dall’altra il contributo allo Stato italiano. Ma quando è troppo è troppo. Almeno un po’ di equilibrio, altrimenti tanto vale abdicare alla sovranità che si risparmiano tempo e soldi.
Attenzione. Qui non si parla di disperati perseguitati da Equitalia, comunque non solo di loro. C’è una classe dirigente, politica e imprenditoriale, che non riconosce lo Stato (nonostante il fiume di denaro che riceve) e che, soprattutto, non lo teme. C’è un senso di impunità mascherato da vittimismo e piaggeria che ha superato il limite. È vero, convivere con la mafia è terribile, ma la mafia sopravvive e cresce dove pagare le tasse non è un dovere e neppure un obbligo, ma una libera scelta. Che poi magari uno sceglie di versare l’obolo al padrino: costa meno e offre più vantaggi e garanzie. Il vero patto Stato-mafia non è nelle carte giudiziarie inseguite (vanamente) da Ingroia, è nell’inerzia di una magnifica terra che si ostina a non volere essere tale.
IL GIORNALE