L’attacco delle minoranze Pd: «No a un congresso rivincita»
Le posizioni sono ormai cristallizzate: le minoranze del Pd, unite come un sol uomo, ripetono che o ci sarà una conferenza programmatica, uno slittamento del congresso in autunno e un sostegno al governo Gentiloni fino al 2018, o se ne andranno. Enrico Rossi, Roberto Speranza e Michele Emiliano, pur con toni e accentuazioni diverse, lo hanno detto in coro all’assemblea di sabato mattina al teatro della Vittoria a Roma. E’ stato lanciato a Renzi l’ennesimo ultimatum, con lo spettro della scissione ormai più che palpabile. Restano ancora poche ore, fino all’Assemblea nazionale del Pd di domenica mattina, per trovare una mediazione che accontenti tutti. Ma le chances di evitare una clamorosa rottura appaiono molto esigue.
Parlano i tre sfidanti di Renzi
L’aria che tira all’assemblea delle minoranze del Pd a Roma è chiara fin dalle prime note che risuonano al teatro della Vittoria. Parte un filmato e via con «Bandiera rossa», richiamo all’antica sinistra che riunisce tutte le anime dem che non si ritrovano nella politica di Matteo Renzi. In prima fila Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema. Tocca a Enrico Rossi, governatore della Toscana, aprire le danze. E parte subito l’affondo: ««Siamo mossi da un’inquietudine verso il presente – questo virus non ce l’ha tolto ancora nessuno – e dall’inquietudine che il nostro partito ci suggerisce. Il nostro nemico sia chiaro è la destra, mondiale e italiana.
Occorre una svolta politica, un partito partigiano che sta dalla parte del lavoro e dei lavoratori: da qui dobbiamo ripartire. Troppa contiguità con i potenti rende difficile il dialogo con i lavoratori». È un attacco ad alzo zero alla politica del governo Renzi. Lavoro, scuola, sanità, pensioni: la bocciatura è totale e senza appelli. «Ci si chiede una conta per riconsegnare al più presto la guida del partito al segretario. Noi non ci stiamo. Se si vuole abolire la sinistra la responsabilità della spaccatura ricade su chi non vuol capire».
Rossi: «No al partito di Renzi»
«La conferenza programmatica proposta da Orlando si deve fare. E’ un momento di chiarimento fondamentale» aggiunge Rossi. «Non è questione di date, non abbiamo ossessioni. Non siamo disposti a partecipare alla trasformazione del Pd nel Partito di Renzi. Se vuole accentuare il carattere leaderistico facendo come Macron in Francia, forza né di destra né di sinistra, non sarebbe più il Pd. La scissione la farebbero gli elettori».
Speranza: «Congresso rivincita non ci interessa»
Tocca a Roberto Speranza intervenire subito dopo Rossi. «Abbiamo rottamato le persone, ma non le idee sbagliate. Il problema non è la data del congresso, ma cosa siamo e cosa siamo diventati. Abbiamo perso una parte della nostra gente». Poi l’ex capogruppo svela di aver parlato in mattinata con Renzi: «Gli ho chiesto se la vediamo solo noi la scissione. Il congresso rischia di ridursi ad un plebiscito rivincita di un capo arrabbiato per aver perso il plebiscito vero». E quindi scatta l’altolà: «Se questo è a me non interessa entrarvi in alcun modo». Speranza fa poi il verso a D’Alema: «Un nuovo inizio sarà possibile. Non come chiusura ma come opportunità per il Paese». Il governo Gentiloni deve arrivare fino al 2018, la nuova legge elettorale va fatta al più presto. «Il prossimo parlamento lo decidano i cittadini. Basta con i nominati e il Pd dica una parola chiara su questo tema». Quindi la conclusione sul tema clou: «Chiediamo un congresso normale con una governo che duri fino alla fine della legislatura. Se non succederà questo, il Pd diventerà il partito dell’avventura».
Emiliano: «Renzi mi ha detto che sosterrà Gentiloni fino al 2018»
Il terzo intervento è quello del governatore pugliese Michele Emiliano. E anche se in mattinata, via Facebook, aveva annunciato di aver convinto Renzi a sostenere il governo Gentiloni fino al 2018 (ma Bersani precisa: «Lo dica Renzi se è così») , il suo discorso non fa sconti al segretario. L’attacco è bruciante: «Scusatemi se tre anni fa ho sostenuto Renzi. Non rinuncio al Partito democratico per l’arroganza e la prepotenza di chi pensa di cancellare tutto per calcolo politico o perché non gli conviene». Quindi un altro attacco chiamando ad esempio il passato: «Bersani, in una situazione molto meno grave di quella di Renzi oggi, si dimise per permettere al partito di riorganizzarsi. Grazie a lui Renzi è diventato segretario e ha ottenuto il 40%, perché il suo ex segretario era stato capace di vivere la comunità e non il personalismo nella sua politica. Noi non cerchiamo un capo, ma un compagno, un amico, non una persona che ha paura del confronto e ha paura di perdere consensi più passa il tempo. Ma sentire parlare Rossi o Speranza è una bellezza». Emiliano torna a chiedere la convocazione di una conferenza programmatica. «E magari nel frattempo Renzi si convince che non è più il caso di guidare il Pd». Infine, l’appello al segretario: « Non costringete con argomenti capziosi questa comunità ad uscire dal Pd. Noi speriamo di non dover dire cose drammatiche nelle prossime ore ma se dovesse essere necessario non avremo paura. Non costruiremo un soggetto avversario del Pd ma non aspetteremo altro che ricostruire questa comunità. Nessuno vuole la scissione. Invito chi ha coraggio ad attivarsi perché non succeda».
D’Alema: «La palla passa a Renzi»
A margine dell’assemblea delle minoranze interviene anche Massimo D’Alema. «Se Renzi telefona per dire che lui è d’accordo con quello che gli si propone, sicuramente questo apre un processo politico che porta verso il congresso nei tempi ordinari, normali. Se Renzi vuole tirare dritto per la sua strada è chiaro che noi non possiamo accettare questa prepotenza. Le cose sono chiarissime: la questione è nelle mani del segretario del Pd. Siamo in attesa di una risposta».
Bersani: «Fedeli agli ideali»
«Bisogna essere fedeli agli ideali della tua gioventù. Quando non sai cosa fare, fai quel che devi». Così risponde Pier Luigi Bersani a chi gli domanda cosa farebbe in caso di scissione del Pd. Il congresso «non è questione di tempi, è questione di poter fare una discussione che consenta di cambiare la linea». Renzi «deve ripristinare la normalità dopo lo strappo della direzione» ribadisce Bersani, a margine dell’assemblea Pd in corso al teatro Vittoria. La normalità è che «nel 2018 si vota. Da giugno a settembre ci si prepara al Congresso, prima si fa la legge elettorale. Perché andare avanti così? Non si capisce, per l’esigenza di una persona? C’è di mezzo l’Italia. Prima il Paese, poi il partito, poi le persone».
Gotor: «L’ultima parola tocca a Renzi»
Durante l’assemblea circola anche una dichiarazione di Miguel Gotor che dà la misura della situazione fluida a poche ore dall’intervento di Renzi domenica mattina all’Assemblea nazionale : «Direi che è finita, l’essenziale e’ stato detto e domani è giornata decisiva. Trovo importante posizione unitaria dei tre candidati, la palla ora ce l’ha Renzi e domani spetta a lui rompere il Pd o tenerlo unito sul percorso che abbiamo indicato».
Guerini: «Ultimatum non sono ricevibili»
E a distanza arriva la presa di posizione, via Twitter, del vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini che sui social attacca: « Questa mattina toni e parole che nulla hanno a che fare con una comunità che si confronta e discute. Gli ultimatum non sono ricevibili».
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