Pd, oggi l’assemblea nazionale. Renzi: “Non cambio idea su nulla, congresso in primavera”

francesca schianchi
roma

«Io non cambio posizione su niente». Alla vigilia dell’Assemblea che deciderà il futuro del Pd, il segretario Matteo Renzi ha deciso quello che farà. Dopo giorni di appelli pubblici e privati, di telefonate, di fuorionda che ripetono quanto gli è stato consigliato di persona, l’ex premier ha spiegato ai suoi come intende comportarsi: «Farò un appello alla minoranza a restare, ma non intendo cambiare posizione su nulla». Il congresso si terrà in primavera, come già annunciato, verrà chiuso in una data che può andare dal 9 aprile al 7 maggio, nessuna possibilità di rinviarlo all’autunno. E il sostegno al governo Gentiloni verrà ribadito negli stessi termini usati lunedì scorso in Direzione, cioè senza il giuramento solenne, che vorrebbe la minoranza, di accompagnarlo fino alla scadenza naturale del febbraio 2018.

«Ma loro si sono incartati: stanno cercando di far credere che siamo disposti a fare marcia indietro, perché in realtà non vogliono uscire dal partito», ragionava Renzi ieri.

«Loro» sono il governatore toscano Enrico Rossi, che ha sentito più volte al telefono, e quello pugliese, Michele Emiliano, che la telefonata col segretario l’ha resa nota via Facebook. Lì, via social, ha scritto di averlo convinto «a sostenere Gentiloni fino alla fine della legislatura»: un tentativo, secondo i renziani, di accreditare appunto un cambio di linea del leader, per poter evitare la rottura, che sono persuasi voglia solo Massimo D’Alema, e forse, ma con meno convinzione, Pierluigi Bersani. Ma non Rossi ed Emiliano, e forse nemmeno Speranza, nonostante il forte legame con l’ex segretario piacentino: sui territori, i fedelissimi di Renzi non si aspettano che un’eventuale scissione coinvolga molti dirigenti e militanti. «Il territorio gli sta dicendo di no, che non li seguono – valutava nei giorni scorsi Renzi con alcuni collaboratori – persino il segretario regionale pugliese sta con noi: Emiliano vuole giocarsi la sua battaglia dentro al Pd e sta cercando un appiglio per restare».

 

Un appiglio che Renzi non intende dare: oggi in Assemblea ripeterà che il governo Gentiloni va sostenuto, sì, ma «è evidente che il Pd non può dire “o 2018 o morte” come vorrebbero loro – la linea del segretario – quello che può dire è che darà un sostegno leale, come abbiamo già detto in Direzione. In teoria può anche durare fino al 2018, ma deciderà il presidente della Repubblica quando andare al voto». Non vuole insomma accontentare la minoranza nella richiesta di togliere dalla testa dell’esecutivo la «spada di Damocle» del rischio urne, per dirla con la definizione di Bersani, una richiesta che fa molto sorridere Renzi: «Mi fa piacere sapere che ora vogliano queste certezze, dopo che quando il governo è nato hanno fatto sapere di tenersi liberi di decidere come votare provvedimento per provvedimento…». Né ha intenzione di concedere cambiamenti sul congresso: si terrà entro i primi di maggio, prima delle amministrative.

 

Da casa sua, da Pontassieve, il segretario ha seguito l’eco di quanto stava succedendo a 250 chilometri di distanza, nel cuore di Roma, nell’assemblea convocata dalla triade dei suoi sfidanti. Le critiche a lui e al suo governo, sottolineate dagli applausi della platea gremita, le richieste di conferenza programmatica e poi di congresso in autunno, le minacce di frattura. «Questa mattina toni e parole che nulla hanno a che fare con una comunità che si confronta e discute. Gli ultimatum non sono ricevibili», scrive su Twitter il vicesegretario Lorenzo Guerini, dando voce a un’irritazione diffusa tra i renziani. «Non è possibile aver paura della nostra gente», commentano tra loro, «la minoranza ha diritto a sentirsi a casa, ma nessuno può fare ricatti». Non sfugge la scelta di aprire l’appuntamento con l’inno comunista «Bandiera rossa», e, se possibile, rafforza il segretario nella decisione che nessun passo indietro è pensabile: «Se dopo Bandiera rossa cedessi, perderei anche i miei».

 

Oggi, è pronto al muro contro muro. Nessun cedimento dinanzi alle richieste di questi giorni. «Assolutamente», ripete a chi gli chiede di pensarci ancora su. Convinto che «la settimana prossima sarà tutto finito»: Rossi, Emiliano e probabilmente anche Speranza secondo lui non se ne andranno. D’Alema forse sì, ma è un effetto collaterale che il segretario rottamatore liquida con un sorriso.

LA STAMPA

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