Raggi, dietrofront sullo stadio dopo il no della soprintendenza

ANSA

Il rendering del progetto dello stadio della Roma nell’area di Tor di Valle a ridosso del Tevere

federico capurso, ilario lombardo
roma

Virginia Raggi tira un sospiro di sollievo. Il progetto dello stadio della Roma, che da settimane sta dilaniando i Cinque stelle tra favorevoli e contrari, rischia di saltare ad un passo dal traguardo.

La mina sul percorso l’ha piazzata la Soprintendenza di Roma, vincolando l’ippodromo sul quale dovrebbe sorgere la struttura della società giallorossa. «Vi sono quindi nuovi elementi che incidono sulla valutazione e realizzazione del progetto», scrive Raggi in una nota. «Come abbiamo sempre detto – continua la sindaca – vogliamo che la Roma abbia uno stadio, ma nel rispetto della legge». Nelle intenzioni della Soprintendenza, l’ippodromo costruito dall’architetto Josè Lafuente negli anni Cinquanta verrebbe vincolato come bene architettonico da tutelare in tutto e per tutto, dalle tribune con l’amianto alla sabbia su cui correvano i cavalli. Sarebbe, questa, la prima opera di Lafuente ad essere vincolata a Roma, nonostante l’architetto sia stato molto prolifico nella Capitale.

Non solo. Nell’area adiacente all’ippodromo, precisa la soprintendente Margherita Eichberg, «per ragioni di prospettiva e visuali» non potranno essere costruite opere alte più dell’ippodromo stesso. E così, addio stadio, torri, e parte del business park. Rimarrebbero, tutt’al più, qualche negozio, gli alberi e i parcheggi.

Una pericolo enorme per la Roma e una manna per Raggi, che ottiene tempo utile a ricompattare la maggioranza interna al Campidoglio e l’occasione per giocarsi una carta importante nelle contrattazioni con il costruttore Luca Parnasi e con la società. «A questo punto – ragionano dal Campidoglio – noi restiamo spettatori». Con la convinzione che la società americana della Roma e Parnasi «possano valutare l’ipotesi di presentare un nuovo progetto, sempre nell’area di Tor di Valle, ma lontano dall’ippodromo. E soprattutto più vicino alle nostre idee».

 

Dall’altra parte della barricata, però, non sembrano favorevoli a questa prospettiva. Vorrebbe dire ricominciare da capo un iter arrivato ormai alle battute conclusive. Piuttosto, la pazienza della Roma sembra essere finita. Si sta preparando un ricorso al Tar contro il vincolo minacciato dal Mibact, fanno sapere dalla società. «La procedura di vincolo culturale dell’Ippodromo – scrive poi Parnasi in una nota – non solo non è mai stata esternata in precedenza», ma va in contrasto con tutti i pareri già espressi dalla Soprintendenza negli ultimi anni. Nel 2014, ad esempio, aveva chiesto alla società di «indicare i criteri della sostituzione con demolizione dell’Ippodromo». Non certo un segnale di contrarietà. E più di recente, nel parere espresso appena due settimane fa, la Soprintendenza non menzionava in alcun modo problemi legati alla demolizione, né la volontà di vincolare l’ippodromo per particolari interessi artistici e storici, ma si interessava di «visuali» e indagini archeologiche preventive. Anche per questo, Parnasi giudica «singolare la tempistica di questo parere emesso dalla Soprintendenza», una iniziativa che agli occhi di molti risulta «talmente intempestiva da apparire quantomeno ostile».

 

Nella scontro c’è però spazio anche per le controproposte. Di fronte al pericolo di dover resettare il progetto, la società della Roma e Parnasi si dicono disponibili a salvare le tribune di Lafuente, anche se pericolanti, e a bonificarle dall’amianto, spostandole dal luogo in cui sorgerebbe lo stadio. Sempre che in quell’area, compiute le verifiche archeologiche, non si scoprano i resti di un cimitero indiano.

LA STAMPA

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