C’è bisogno di valori, non potete distruggere un partito
di EUGENIO SCALFARI
C’E’ UN PROBLEMA logico e filosofico che ha il suo punto centrale nella speranza. L’ha trattato la nostra collaboratrice Benedetta Tobagi citando un ebreo tedesco, George L. Mosse, che nacque nel 1918 e morì nel 1999. Lui credeva nella speranza come elemento fondamentale della vita e come conforto di fronte alla morte, la fede dell’Aldilà garantita da un Dio trascendente. Ma credeva anche nella politica, suscitata dall’Io, dalla ricerca del potere a tutti i livelli. Il potere coincide con la volontà di potenza studiata da Nietzsche, che può diventare un ideale condiviso dalla masse se i detentori del potere riescono a diffondere l’amor di Patria. Mosse chiamava l’amor di Patria la nazionalizzazione delle masse e tutti i fenomeni che a quell’amor di Patria somigliano, perfino il tifo sportivo per una squadra o per un campione.
C’è una quantità di fenomeni che possono mobilitare le masse, dai più impegnativi ai più banali, ma non c’è dubbio che la nazionalizzazione delle masse intesa nel senso più vasto sia il concetto essenziale per chi, come Mosse, vede positivamente la vita e perfino la morte. Ma c’è anche un concetto opposto: quello che concepisce la disperazione come il sentimento dominante. Si spera ma alla fine ci si dispera. Machiavelli si domandava: “Come può l’uomo virtuoso sopravvivere in un mondo malvagio?”.
Ma il medesimo Machiavelli indicava nel “Principe” il grande rimedio e dedicò infatti quel suo libro non già al Borgia di cui aveva raccontato tutte le malefatte, ma a Lorenzo il Magnifico che agì in tutta la sua breve vita per il bene del popolo, con gli interventi di governo, la bontà, la democrazia visti insieme pur avvertendo: “Chi vuol esser lieto sia/ del doman non v’è certezza”.
L’incertezza, ecco la vera chiave della nostra esistenza. Il caso o il destino. Due concetti sulla cui antitesi o identità ha scritto più volte e di cui parla spesso in modi diversi Giacomo Leopardi nelle sue “Operette Morali”. Leopardi era un nichilista, ma si elevò con i suoi Canti ad un livello tale da convivere con felicità-infelicità, “Alla fioca lucerna poetando”.
Perché parlo di questi valori e disvalori, speranze e disperazione? Ne parlo perché la società globale, rinforzando sempre di più la forza della sua globalità, ha creato e sempre più diffonde un mondo nuovo che contiene un dato positivo ed uno negativo, la pace e la guerra, l’amore e l’odio, su scala universale. E la minuscola dimensione (ma per noi estremamente importante perché direttamente ci riguardano) di queste contraddizioni hanno ridotto la nostra politica ad un campo di battaglia che rischia di deformare la nostra già debole democrazia dove si confrontano progetti che ogni giorno cambiano, peggiorano i rapporti delle forze in campo, gli interessi, le alleanze. L’Europa soffre di analoghi malanni. La lucerna leopardiana è fioca, non è spenta: si alimenta dalla bellezza della speranza e dalla drammaticità della disperazione. Quanto alla vicenda politica la sua debolezza è terribilmente moderna. Che c’è di peggio della modernità? Di un Paese e di un continente che è stato per secoli il fulcro della civiltà nel mondo intero?
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In Italia le forze in gioco sono numerose. La prima è Grillo e i cinquestellati: vorrebbero il voto immediato, non importa con quale legge elettorale. Se si vota al più tardi a giugno resta un sistema tripolare che rappresenta la forza grillina indipendentemente dalle vicende della Raggi.
La seconda forza in gioco è il duo Mattarella-Gentiloni. Entrambi vorrebbero arrivare alla fine della legislatura e nell’anno che ancora resta vogliono portare a termine quelle riforme più che mai necessarie: l’Appenino terremotato, il rilancio del Pil, la lotta contro le diseguaglianze reddituali e patrimoniali, la questione libica e africana, i rapporti con la Germania e con la Commissione europea, l’appoggio a Draghi e da Draghi.
La terza di queste forze in gioco è Renzi, il Pd e la sinistra italiana. Come si vede ce n’è abbastanza.
Grillo: per rafforzare la nostra fragile democrazia occorre abolire il sistema tripolare. Si ottiene rinviando le elezioni al 2018 creando a quel punto un meccanismo che non solo non ceda altri voti a Grillo ma anzi li prenda da lui. Non è impossibile: bisogna togliergli voti sia a sinistra (pochi) sia al centro (molti) sia a destra (moltissimi). Non è impossibile anche se Grillo e i suoi possono allearsi con la Lega di Salvini. I due non sono in concorrenza, un’alleanza è possibile con le due liste distinte ma unite dalla stessa politica: togliere voti soprattutto a destra e comunque non cederli, utilizzare l’eventuale appoggio del populismo di Donald Trump. Salvini ci sta provando e con successo.
Ed ora veniamo a Renzi e alla sinistra italiana. Le voci che riguardano l’attuale segretario del Pd oscillano in continuazione. Un giorno si parla di un congresso rapido del Pd con il suo attuale segretario che si dimette ma trasformando la sua attuale segreteria in una “reggenza” fino all’esito congressuale. Un’eventuale reggenza renziana sembra tuttavia impossibile, un segretario dimissionario non può trasformarsi in reggente, non è mai accaduto in nessun Paese dell’Occidente.
Un altro giorno il congresso può essere lungo e il voto potrebbe avvenire ad ottobre o addirittura a dicembre. Ma in quel caso il presidente della Repubblica potrebbe affidare all’attuale presidente del Consiglio l’incarico dell’ordinaria amministrazione che potrebbe protrarsi per pochi mesi fino alla scadenza della legislatura.
Infine un altro giorno ancora, si attribuisce a Renzi il proposito di riformare il partito, con o senza congresso, preparandosi alle elezioni come leader del Pd, con la dissidenza interna riassorbita e quella esterna alleata, cambiando la legge elettorale con la possibilità di coalizioni con la sinistra esterna e con il centro moderato. In questo caso il sistema diventerebbe bipolare con un centrosinistra molto forte e i cinquestelle più Salvini. Bipolare, con maggior peso al centrosinistra rispetto al populismo antieuropeo del duo Grillo-Salvini. È auspicabile questo scenario? Ed è probabile la sua realizzazione oppure no?
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Questo tema riguarda soprattutto Renzi. Ha carisma? Sì, ce l’ha. Ha voglia di usarlo? Sì, ce l’ha ed è anche molto evidente. Ha la capacità di usarlo a favore del popolo italiano e dell’Europa? Sì e no. Non più di Gentiloni, ma neanche meno. I caratteri di questi due protagonisti sono molto diversi, ma le capacità si equivalgono.
La settimana scorsa su queste pagine ho dato un’immagine storica per rispondere a questa domanda: Renzi deve creare nel Pd una vecchia guardia e una giovane guardia. La prima si compone di quelli che nel Pd, con lui o contro di lui, hanno usato e possono ancor più usarla per dare al partito la loro esperienza già collaudata e ancor più negli anni nel frattempo trascorsi. La giovane guardia è fatta da trentenni o poco più, che devono rappresentare la generazione che tra dieci anni guiderà il partito.
Renzi e Gentiloni sono per età anagrafica a metà del percorso. Ma c’è un altro personaggio che sembra essere di nuovo in corsa ed è Walter Veltroni. Se bisognasse scommettere su uomini migliori per l’Italia e per l’Europa bisognerebbe puntare su Veltroni, su Draghi, su Renzi e su Gentiloni. Draghi ha una forza propria ed essenziale, europea e quindi anche italiana; Veltroni discende dalla Bolognina di Occhetto, dall’Ulivo di Prodi, e poi da se stesso quando fondò il Partito democratico dove utilizzò con successo la vecchia e la giovane guardia.
Insomma è un partito ricco di esperienze, capacità, carisma. Si mettano tutti d’accordo, facciano un’équipe che operi per l’Italia e per l’Europa: due patrie che s’identificano; senza l’una, l’altra crolla. Questo sì, va ad ogni costo evitato.
REP.IT