Importare Cambridge

Mattia Feltri

La Gran Bretagna esce dall’Europa e Oxford ci rientra. L’università più antica del mondo anglosassone, e una delle più prestigiose in assoluto, sta progettando di aprire una sede a Parigi e, dice il Daily Telegraph, gli accordi col governo francese sono a buon punto. C’è una suggestione storica, un tratto di civiltà europea che rimane in piedi per iniziativa di due Paesi che se le sono date per secoli, e solo da un centinaio d’anni stanno dalla stessa parte. Ma non è il romanticismo a prevalere: Oxford ha bisogno dei finanziamenti dell’Ue che perderà a causa della Brexit.

 Il programma Horizon 2020 della Commissione distribuirà un paio di miliardi nei prossimi anni, e non si tratta di pura e demoniaca sete di denaro: fin qui gli europei che studiano a Oxford hanno pagato le stesse tasse universitarie degli inglesi, hanno goduto di prestiti a tassi speciali e dell’assistenza sanitaria gratuita, tutti privilegi che la Brexit probabilmente cancellerà, con danno anche per la vocazione internazionale di Oxford.

È il solito problema: per quanto rinsaldati, i confini non sono abbastanza forti per fermare il nuovo spirito cosmopolita del mondo, che non coinvolge soltanto le multinazionali del web e non mobilita soltanto i rifugiati siriani. I più deboli, il cameriere polacco o il piccolo ateneo, faranno fatica a cavarsela. I più robusti sapranno invece usare le loro armi e soprattutto aguzzare l’ingegno: motivo per cui, di importare Oxford, a noi italiani non è nemmeno venuto in mente. Vogliamo provare con Cambridge?

LA STAMPA

 

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