Caos Pd, Emiliano davanti al bivio Tentato dalla terza via

Alle dieci della sera Michele Emiliano è ancora avvolto dai suoi tormenti. Alla fine di una giornata che lo ha visto impegnato, tra una riunione sull’Ilva e l’altra, in una raffica di telefonate e incontri con i protagonisti della battaglia per la vita e la morte del Pd, il governatore non ha sciolto la riserva. Sfidare Renzi al congresso? Lasciare il partito per non tradire il patto con Speranza e Rossi? Oppure, ultima clamorosa suggestione, uscire dal Pd e farsi un suo movimento?

Per ore il cellulare di Emiliano squilla a vuoto. Finalmente risponde e, com’è nel suo stile, si lascia aperte tutte le vie di fuga: «Se vado in direzione? Ci sto pensando». Lo sa che Renzi ha deciso di disertare la riunione? Che ci va a fare, lei? Emiliano sospira, tace, risponde: «Ci sto ancora pensando. Devo capire». Si dice che, se Renzi non accetterà le sue proposte, lei andrà in direzione e si candiderà al congresso «per la salvezza del Pd». Emiliano ride: «Voglio lasciare ancora un po’ di suspense». Non è che medita di «fregare» gli alleati? «Nessuna decisione sarà presa se non insieme. Concorderemo tutto». Davvero vuole farsi una lista tutta sua?

«Non posso dire niente». Oggi, prima della direzione, Emiliano incontrerà Speranza e Rossi e cercherà un accordo. Ma l’intesa non è a portata di mano. I bersaniani e il governatore della Toscana sono già fuori, mentre Francesco Boccia, che di Emiliano è il braccio destro, ancora si augura che Renzi parli in direzione: «La nostra proposta? Conferenza programmatica a maggio e primarie tra giugno e luglio». A questi patti Emiliano non fa la scissione, ma il suo timing è incompatibile con lo statuto del Pd, che impone la conclusione delle assise in quattro mesi.

Se Emiliano si farà vedere al Nazareno, sarà la prova che il patto a tre è andato in pezzi. D’altronde il presidente della Puglia, che di sinistra certo non è, non può sentirsi a casa in un movimento che abbia D’Alema come punto di riferimento e un bagaglio di idee che si ispiri al socialismo e alla storia Pci-Pds-Ds. Il problema di Emiliano è che adesso anche Renzi comincia a temere la sua stazza. Averlo come sfidante non è la massima ambizione dell’ex segretario, ben più propenso a battersela con Orlando o con Damiano. Ecco perché i renziani raccontano, nemmeno troppo sottovoce, che se Emiliano esce «è persino meglio». Allarme è alto anche a sinistra. Rossi a RaiNews24 ha lasciato cadere una frase che rivela la preoccupazione dei ribelli: «Emiliano? Faccia un po’ quello che crede».

Ieri il sito web dell’Unità si apriva con un «sondaggio segreto» che spiegherebbe le ragioni della scissione: «Renzi sarebbe accreditato del 73,5% delle preferenze, Emiliano dell’11,7%, Rossi dell’8,3% e Speranza del 6,5%». Fosse davvero così, a Emiliano converrebbe uscire e provare a mettersi alla guida di una grande lista civica nazionale, con de Magistris, Pisapia, Civati e i fuoriusciti del Pd. Per dirla con Boccia, «un’operazione all’altezza dei problemi». Eppure anche l’idea di costruirsi l’agognata «Lega del Sud», che esalti le sue caratteristiche di animale politico in grado di intercettare l’onda dello scontento, lo tenta parecchio. Bel dilemma. Sabato, quando gli hanno chiesto di intonare Bandiera Rossa, Emiliano ha fatto un balzo: «Al massimo posso cantare Buonanotte fiorellino!».

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