Pd, Letta: Renzi ha le colpe maggiori Un’autostrada per 5 Stelle e destra
«Ricostruire da tutte queste macerie, per chi ci si metterà, sarà lavoro ai limiti dell’ impossibile». Dopo queste parole è facile immaginare che Enrico Letta, se mai negli ultimi tempi aveva accarezzato l’ idea, non ha più in mente di candidarsi alla guida del Partito democratico. La voce del direttore della scuola parigina d’ affari internazionali di Sciences Po arriva attraverso un post accorato che ha il sapore di un «appello super partes». Da Londra, dove ieri si trovava per una conferenza al think tank di Chatham House, l’ ex presidente del Consiglio lancia un severo monito all’ indirizzo di Matteo Renzi, addossando al segretario dimissionario tutto il peso della scissione del Pd: «È così facile distruggere! Quanto più difficile è il costruire. A distruggere ci si mette un attimo, a costruire, una vita». Letta non ha più la tessera del Pd, perché quando fu defenestrato da Palazzo Chigi non l’ ha rinnovata e in seguito si è dimesso dal Parlamento «per trasferirsi a Parigi e cominciare una nuova vita». Ma la traumatica scissione dei compagni di tante battaglie, Pier Luigi Bersani in primis, lo riguarda almeno dal punto di vista sentimentale e lo amareggia profondamente.
«Si sta aprendo un’ autostrada a Grillo, a Salvini e al ritorno di Berlusconi», è la convinzione che lo tormenta e che Letta ha preferito non lanciare sul web. Per tre anni si è imposto di stare «psicologicamente lontano» dalle contorsioni interne del Pd, ma negli ultimi giorni ha seguito da lontano «con crescente amarezza» le ultime risse prima della rottura, che hanno mandato in pezzi «il più grande partito del centrosinistra europeo».
Il problema della sua collocazione politica, fuori o dentro il Pd, se lo porrà quando sarà il momento di tornare a votare. Ma adesso Letta vuole che sia chiaro da che parte sta: «Non è possibile distruggere tutto così, sfidare la minoranza e magari essere pure contento se vanno via». Insomma, la colpa della scissione è di Renzi? «La responsabilità maggiore per la rottura ce l’ ha il segretario». Rivendica con forza l’ orgoglio di essere tra i fondatori dell’ Ulivo e del Pd, una storia positiva «grazie e nonostante i suoi gruppi dirigenti», una storia che è stata scritta da elettori e militanti. Come loro, in questi giorni drammatici per il centrosinistra, il politico pisano che è stato vicesegretario del partito assiste «attonito al cupio dissolvi del Pd». E, sia pure in zona Cesarini e consapevole che solo un miracolo può rimettere assieme i pezzi, implora: «Mi dico che non può finire così. Non deve finire così». Tra le righe del messaggio, rilanciato da tutti i siti e molto condiviso sulla Rete, affiora un giudizio a dir poco severo su colui che rischia di passare alla storia per il segretario della scissione. Letta ricorda che proprio tre anni fa, nel febbraio del 2014, lasciando Palazzo Chigi «dall’ oggi al domani» era preso «da altro sgomento, uno sgomento solitario». Oggi è diverso. La sua è «la stessa angoscia collettiva di tanti che si sentono traditi e sperano ancora che non sia vero». Tanti, continua Letta, che chiedono di «mettere da parte le logiche di potere» e di pensare al bene dell’ Italia.
Ma come, si chiede l’ ex premier, con il Paese lacerato e «nelle secche», con una Europa in crisi che «avrebbe bisogno dell’ impegno creativo degli ulivisti e democratici italiani», il partito di Matteo Renzi compie «una simile parabola»? Non può finire così: «Ho solo la mia voce e non posso fare altro che usarla così, per invocare generosità e ragionevolezza». Il post ha spiazzato i renziani, che prima lo hanno interpretato come un appello in stile veltroniano e solo in un secondo momento ne hanno colto la portata critica nei confronti di Renzi. «Il nostro popolo sta soffrendo, ma il @pdnetwork non finisce certo qui – ha scritto su Twitter Matteo Ricci – La nostra storia è più importante dei singoli leader». La prodiana Sandra Zampa invece apprezza: «Le parole di Letta sono di raro valore. Non può finire così».