È reato dire “clandestino”
Il tribunale di Milano ha condannato la Lega di Salvini per alcuni manifesti affissi per le strade di Saronno in cui si intimava un alt all’arrivo di «clandestini».
Quella parola, «clandestini», secondo i giudici è denigratoria, discriminatoria e crea un clima di intimidazione. Questa sentenza è un bel salto in avanti nella dittatura della magistratura. Da oggi quindi dobbiamo rendere conto delle parole che usiamo, anche se queste sono parte del dizionario italiano. Anche se non sono insulto, giudizio morale, ma aggettivo che fissa uno stato di fatto oggettivo. Non secondo(…)
(…) Salvini, ma per la Treccani, «clandestino» si dice di «atti fatti di nascosto senza approvazione o contro il divieto delle autorità» e «di persone che si imbarcano su navi o aerei senza essere munite di un biglietto di viaggio».
Qualsiasi immigrato irregolare che sbarca in Italia è per definizione un «clandestino» e il fatto che poi possa diventare, a determinate condizioni, un «richiedente asilo» non cambia le cose. Parliamo sempre di un «clandestino» in attesa di giudizio. Ma non ha senso perdersi nei tecnicismi. Preoccupa il tentativo, riuscito, di decidere per legge il vocabolario. È già accaduto in passato: la dittatura nazista, per esempio, è nata anche attraverso la regolamentazione del linguaggio quotidiano.
Discriminante, parola che significa «elemento che differenzia persone o cose» a mio avviso, non è usare la parola «clandestini», semmai lo è esserlo e impedire a me di dirlo con chiarezza. Discriminante è che io debba parlare e scrivere come pretende un giudice che per quello che ne so potrebbe essere un analfabeta ignorante e non come Dante che della lingua italiana è il padre riconosciuto. Il quale Dante, per altro, sui clandestini la pensava esattamente come Salvini. Trascrivo dal sedicesimo canto del Paradiso: «Sempre la confusion de le persone / principio fu del mal de la cittade, / come del vostro il cibo che s’appone». Ovvero: la mescolanza delle genti provoca sempre il male delle città.
Che facciamo, signor giudice: arrestiamo Dante e bruciamo la Treccani? O facciamo un bel ripasso di storia, letteratura e soprattutto di libertà?
IL GIORNALE