Più Putin che Trump, la destra populista ed euroscettica cambia orizzonte

di ILVO DIAMANTI

RENT’ANNI fa, il muro di Berlino divideva ancora il mondo in due. Sul piano geopolitico e politico. Non solo: divideva in due anche i Paesi occidentali. Al loro interno. In Italia, ad esempio, nel dopoguerra, il sistema politico è stato attraversato dalla contrapposizione fra i due partiti maggiori. Democrazia Cristiana e Partito Comunista. La Dc e il Pci. Protagonisti del “bipartitismo imperfetto” (come lo ha definito Giorgio Galli) fra due partiti destinati a interpretare un ruolo fisso. La Dc al governo. Il Pci all’opposizione. Perché, appunto, legato e collegato con il blocco sovietico. Storicamente. Il percorso del Pci verso l’autonomia si è sviluppato attraverso la scelta euro-comunista, compiuto, in particolare, da Enrico Berlinguer. Ma si realizza, apertamente, alla Bolognina, nel 1989, all’indomani (letteralmente) della caduta del muro. Annunciata dal segretario, Achille Occhetto, e puntualmente rilanciata dall’Unità (il giornalista, all’epoca, era Walter Dondi). Insieme all’Ansa.

Fino ad allora (e per un po’ di tempo ancora), la Russia, meglio: l’Unione Sovietica, era il Paese amico, a cui si ispirava la sinistra comunista. Mentre dall’altra parte c’erano gli Usa. L’America. La capitale del Capitale. Meglio, del “blocco capitalista”.

Molto tempo è passato e molto è cambiato, da allora. È cambiata la Russia. Il blocco sovietico, in Europa, si è sfaldato. I Paesi che ne facevano parte sono, in gran parte, entrati nell’Europa politica. Ma, di recente, sono cambiati anche gli Usa. Il successo e l’elezione di Donald Trump alla presidenza hanno contribuito a modificarne sensibilmente la strategia e l’immagine, in ambito internazionale. Di certo, il rapporto fra Usa e Russia non è più così chiaro. I due presidenti, Trump e Putin, intrattengono, infatti, relazioni personali sicuramente non ostili come un tempo. Entrambi, in particolare, non amano il progetto dell’Europa unita. Sul piano economico e, ancor più, politico. La Russia di Putin, per questo, ha espresso sostegno, in diversi modi, ai soggetti anti-europei. D’altra parte, leader euroscettici, come Grillo, hanno manifestato valutazioni positive verso il presidente degli Usa, Donald Trump. Idealtipo dell’Uomo Forte. Necessario a compensare la debolezza dei leader europei e della loro politica.

Così, oggi, la proiezione geopolitica dei partiti europei mostra cambiamenti significativi. Lo rivelano, con chiarezza, alcuni dati ricavati dalla “X Edizione dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza”, curato da Demos, Osservatorio di Pavia e Fondazione Unipolis. (Verrà presentata domani a Roma, nell’aula Aldo Moro di Montecitorio). Secondo i sondaggi dell’Osservatorio (condotti in 7 Paesi europei), la fiducia nei confronti degli Usa e della Russia appare, infatti, ancora orientata verso l’America. Ma non nella misura del passato. Ad eccezione che nella popolazione del Regno Unito, tradizionalmente filo-atlantica, assai più che filo-europea.

LE TABELLE

È, tuttavia, il marchio “politico” delle simpatie “geopolitiche” a cambiare. Il favore per la Russia, infatti, non caratterizza più la sinistra. Non solo perché, negli anni, la sinistra è cambiata, a sua volta, profondamente. È divenuta riformista e filo-occidentale. Ma perché, nello stesso tempo, si sono affermati soggetti politici euro-scettici, talora apertamente anti- europei, che guardano, con simpatia crescente la Russia di Putin – puntualmente ricambiati. E, talora, sostenuti da essa. Se ci concentriamo su alcuni Paesi particolarmente importanti, i dati del sondaggio risultano, al proposito, espliciti. A partire dall’Italia, dove la fiducia verso la Russia di Putin viene espressa dal 43% dei cittadini, che salgono al 49% fra i simpatizzanti del M5s e, ancor di più: oltre il 70%, fra quelli della Lega.

Tra i francesi, la fiducia verso la Russia di Putin si riduce al 34%, ma raddoppia, quasi, fra gli elettori euroscettici – di destra – vicini al Front National di Marine Le Pen (61%). Lo stesso avviene in Germania, dove la corrente filorussa – per evidenti ragioni storiche – risulta più ridotta: 24%. Ma cresce fino al 45% fra i simpatizzanti di AfD, Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania). A loro volta euroscettici e di destra. Infine, anche nel Regno Unito i sostenitori dell’Ukip, promotore della Brexit, appaiono filorussi in misura quasi doppia (37%) rispetto alla popolazione nell’insieme (20%).

La differenza di consenso e fiducia verso gli Usa di Trump cresce, invece, in misura meno ampia, ma comunque evidente, nella base dei partiti euro-scettici. Solo in Italia, fra i simpatizzanti del M5s, non si colgono diversità particolari rispetto al resto dei cittadini. Mentre fra i leghisti il consenso per l’America trumpista appare il più alto d’Europa (82%).

Così, a quasi trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, sembrano cadute anche le divisioni politiche, geopolitiche e d’identità che proprio da quel muro avevano tratto significato. L’America e la Russia non marcano più due mondi e due orizzonti alternativi. Ma trovano, entrambe, consenso e sostegno nei soggetti politici euroscettici e anti-europei. Che agiscono dentro i confini europei. Anche per questo “l’Europa conta poco”, come suggeriscono i temi proposti da Limes nel festival che si svolgerà a Genova nel prossimo fine settimana. Conta poco, comunque, di meno, perché appare uno spazio in-definito, fra America e Russia. Un contesto “stressato”: fra Trump e Putin. Dove i movimenti politici emergenti, per avere successo, si chiamano fuori. Dall’Europa. E guardano altrove.

REP.IT

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