Una vera agenda per il governo
Sperare in uno scampolo di normalità governativa è l’unica cosa che si può chiedere e forse si deve pretendere in questo scorcio di legislatura. È vero che non è stato ancora smaltito del tutto il trauma della sconfitta al referendum istituzionale del 4 dicembre. Le tentazioni elettorali di giugno nella maggioranza e la scissione del Pd ne sono i postumi più vistosi. Ma se davvero il lessico irresponsabile delle «urne subito» è tornato appannaggio delle sole opposizioni, sarebbe bene cambiare passo; e fare in modo che Paolo Gentiloni e il suo governo lavorino per portare a casa risultati tangibili, senza perdere altro tempo. Già se n’è sprecato troppo: prima nella campagna referendaria, poi nella resa dei conti interna tra Dem. Ora i gruppi parlamentari degli scissionisti del Movimento democratici e progressisti si sono formati. Tutti dicono che siamo entrati in un’altra fase. Bene, è il momento di dimostrarlo con i fatti. Il primo, o almeno il più simbolico, è la riforma del sistema elettorale. Maggioranza e opposizioni, in tempi diversi e seguendo le proprie convenienze, hanno sostenuto che sarebbe stato possibile approvarla in pochi giorni.
Si sapeva che non sarebbe stato possibile. Ma se anche non avverrà in un amen, di qui all’estate sarebbe doveroso che il Parlamento abbozzasse una soluzione: tenendo conto delle indicazioni della Consulta e del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Precipitare alle urne tra l’autunno e la primavera del 2018 senza avere provveduto, significherebbe creare le premesse del suicidio politico della prossima legislatura. Ma, sebbene meno evocate, esistono altre sfere di intervento nelle quali governo e Camere dovrebbero dimostrare la loro utilità nei mesi a venire. Il tema delle misure economiche è già lì, fin troppo incombente. E i dubbi del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sulla possibilità di rispondere in modo adeguato alle richieste perentorie della Commissione europea, lo drammatizzano e lo rendono ineludibile. Le incognite e la sfida, però, non gravano soltanto sul futuro del debito pubblico. Soprattutto in materia di diritti civili e di lotta alla povertà, una miniagenda di impegni servirebbe a colmare ritardi accumulati per distrazione. Sono ferme le misure contro la tortura; ne andrebbero riprese altre ugualmente drammatiche, sulle quali il vuoto legislativo crea malintesi, rinvii e interpretazioni strumentali: processo penale in testa. E rimane la tagliola del referendum sul lavoro. Comunque la si pensi, il Parlamento ha approvato le norme sulle unioni civili. Forse sarebbe il caso di dare indicazioni più stringenti, per evitare forzature; e discutere seriamente del cosiddetto «fine vita», tornato alla ribalta in modo tragico e controverso con le «morti assistite» in Svizzera. Si tratta di un’agenda minima, non minore. Circoscritta per questioni temporali. Ma se il governo avesse il coraggio e la forza di realizzarla, motiverebbe la sua durata. E mostrerebbe la capziosità di chi invoca le elezioni subito, togliendo un’arma potente alla retorica populista. Più il governo fa, più si legittima e mette a nudo le contraddizioni avversarie. Il tempo gioca a favore del Movimento 5 Stelle e del leghismo solo se le forze tradizionali restano ferme; se cercano il momento migliore per votare in modo da non perdere troppo, in un’ottica che è già di sconfitta. Ma se viene impiegato per governare, il tempo può rivelarsi una risorsa. Il problema è capire quanto ne sia consapevole chi ha il potere di sostenere Gentiloni; e quanto voglia davvero permettergli di correre, per recuperare i mesi perduti. Per l’Italia significherebbe dire agli alleati europei e all’opinione pubblica che non c’è il trascinamento stanco di un equilibrio-fotocopia. Al contrario, è in atto la transizione verso una fase non condannata in anticipo all’instabilità e all’impotenza.
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