I pm: Tiziano Renzi si faceva promettere soldi per l’opera di mediazione
ROMA Il «gravissimo quadro di possibile infiltrazione criminale» nella gara d’appalto «con il più rilevante importo mai indetta in Europa», pari a circa 2 miliardi e settecento milioni di euro, era arrivato al «massimo livello politico». Parola di Alfredo Romeo, l’imprenditore che voleva conquistare a tutti i costi fette rilevanti di quella immensa torta, riferita dal dirigente della Consip Marco Gasparri che lo stesso Romeo aveva assunto «a libro paga». Una corruzione ammessa dal corrotto, che aggiunge: «Romeo non mi disse chi era il politico o i politici presso i quali era intervenuto, ma mi disse che si trattava del “livello politico più alto”; in proposito mi chiese se io avevo registrato, a seguito di tale suo intervento, un cambiamento di atteggiamento dell’amministratore delegato di Consip nei suoi confronti».
In sostanza, per avere un trattamento di favore dalla Centrale d’acquisto per i beni e servizi della pubblica amministrazione, Romeo s’era rivolto alle alte sfere del potere. Il giudice che ieri ne ha ordinato l’arresto precisa che ora gli inquirenti dovranno chiarire il ruolo di altri soggetti che risultano «attivissimi nel proporre accordi, veri o falsi, individuare referenti reali o supposti, stabilire tangenti effettive o ipotetiche», ma i pubblici ministeri sanno già in quale direzione indirizzare le loro verifiche.
Soldi promessi a Tiziano Renzi
È scritto in un passaggio del decreto di perquisizione nei confronti di Carlo Russo, imprenditore trentatreenne di Scandicci e amico della famiglia Renzi, firmato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Mario Palazzi: dagli atti dell’inchiesta emerge come «Alfredo Romeo, previo concerto con Italo Bocchino, si sia accordato con Carlo Russo (a fronte di ingenti somme di denaro promesse) affinché questi, utilizzando le proprie relazioni (di cui vi è prova diretta) e le relazioni di Tiziano Renzi (con il quale lo stesso Russo afferma di aver agito di concerto e al quale parimenti, da un appunto vergato dallo stesso Romeo, appare destinata parte della somma promessa), indebitamente interferisca sui pubblici ufficiali presso la Consip, al fine di agevolare la società di cui Romeo è dominus». Secondo l’ipotesi investigativa, le «somme di denaro mensili» promesse a Russo e Renzi senior erano il «compenso per la mediazione» realizzata «sfruttando relazioni esistenti tra Tiziano Renzi e Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip».
Il sospetto che «il livello politico più alto» raggiunto dall’imprenditore napoletano passasse proprio da Russo e dal suo rapporto con il padre dell’ex presidente del Consiglio è uno dei punti-chiave dell’indagine. In virtù delle intercettazioni in cui Russo ne parla, dei pagamenti promessi da Romeo e della conoscenza dello stesso Russo con l’ex sottosegretario a Palazzo Chigi (oggi ministro dello Sport) Luca Lotti che, secondo le dichiarazioni di Michele Emiliano, avrebbe detto al presidente della Puglia che lo poteva incontrare perché «ha un buon giro…».
Tra gli appunti stracciati recuperati dai carabinieri nella spazzatura dell’ufficio romano di Romeo ce n’è uno da cui risulta che a novembre 2015 l’imprenditore pagò un soggiorno a Russo e signora da 3.233 euro nell’albergo di Ischia di proprietà di alcuni suo parenti. Una struttura che, si legge in un rapporto degli investigatori dell’Arma, «insieme all’albergo di sua proprietà, viene utilizzata (da Romeo, ndr) quale contropartita per ricompensare i pubblici ufficiali infedeli dell’opera svolta per suo conto».
La sfida con l’impresa favorita da Verdini
Nella ricostruzione dell’accusa la corruzione rappresenta una «vera e propria politica d’impresa delle società di Romeo», che l’imprenditore utilizza per provare a vincere «a suon di tangenti» una guerra con altri gruppi dai risvolti politici occulti. Dei quali il corruttore aveva una sorta di «ossessione». Ha raccontato il «funzionario infedele» Marco Gasparri nelle sue confessioni ai pubblici ministeri: «Romeo si riteneva vittima di un complotto all’interno di Consip e di essere discriminato, nel senso che riteneva che i vertici di Consip favorissero la società Cofely, capogruppo di un raggruppamento temporaneo di imprese di cui faceva parte anche una società riconducibile a tale Bigotti, imprenditore che, a suo dire, era legato all’onorevole Verdini. Per tale ragione Romeo diceva di aver operato ultimamente un intervento sull’amministratore delegato Marroni, per il tramite e attraverso “il più alto” livello politico».
È quella che il giudice dell’indagine preliminare Gaspare Sturzo chiama «legittima difesa criminale rispetto alle condotte di altri imprenditori e vertici politici e istituzionali volte all’esclusione dell’imprenditore campano»; in pratica, la corruzione di determinati soggetti per contrastare quella di altri. Quando seppero che a Napoli c’era in corso un’indagine a loro carico, Romeo e Bocchino — intercettati — auspicavano che il fascicolo fosse trasferito rapidamente a Roma, forse nella prospettiva di evitare guai; a poche settimane dalla trasmissione degli atti nella Capitale, si ritrovano uno in carcere e l’altro inquisito e perquisito.
CORRIERE.IT
This entry was posted on giovedì, Marzo 2nd, 2017 at 08:47 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.