Prove di unità nel centrodestra, ma i forzisti disertano

giuseppe alberto falci

«I partiti non sono più in grado di prendere decisioni. Le primarie, dunque, possono essere uno strumento per selezionare la classe dirigente e il candidato alla leadership del centrodestra». Brusio in sala al Tempio Adriano, a pochi passi dai palazzi della politica. «Le primarie? Ma Berlusconi lo sa?», sorride in ultima fila una signora agghindata e griffata che rivela di essere «più berlusconiana di Silvio».  È il giorno del «federatore» Altero Matteoli, senatore di Fi, che con la sua fondazione prova a rimettere attorno allo stesso tavolo tutti i cespugli del centrodestra, da Giorgia Meloni a Raffaele Fitto, da Gaetano Quagliariello a Mario Mauro. Fino alla Lega di Matteo Salvini. Ma quest’ultimo non è presente, al suo posto prende parte il capogruppo Massimiliano Fedriga.

«Mancano soltanto Alfano e Verdini», riflette a bocca aperta con un pizzico di ironia Massimo, 70 enne incravattato che ha sempre votato gli azzurri. Il titolo dell’incontro è significativo: «Verso le primarie». Un titolo che se la dovrà vedere con Silvio Berlusconi. Il Cavaliere, infatti, ha già fatto sapere senza mezze misure che non adora lo strumento delle primarie. «Le gazebarie lasciamole a quelli del Pd e al giovanotto di Firenze», ripete continuamente Berlusconi con i suoi. Eppoi si serve di una battuta di D’Alema per smontare la consultazione. «Noi puntiamo a vincere le secondarie, ovvero le elezioni», scherza il leader di Fi con i fedelissimi.

 

Tutti i protagonisti della kermesse convengono che oggi ci sarebbero i numeri e gli uomini per tornare a Palazzo Chigi. A una condizione, però, annota l’ex ministro Mauro: «Senza l’unità del centrodestra non esiste il centrodestra». Massimiliano Fedriga, unico fra i leghisti presenti in sala, non si tiene lontano dallo scontro che si consuma da settimane fra Berlusconi e Salvini. Prima stoccata: «Non si può prescindere dalla volontà popolare per indicare il leader del centrodestra». Seconda stoccata. Fedriga si lascia scappare: «Accordi post elettori e formule poche chiare non ci interessano». Sottotitolo nascosto, «non sosterremo mai un governo di larghe intese». La platea non si scalda, ed è guardinga nell’osservare e nell’ascoltare i leader che si alternano. Si leva una certa curiosità quando in sala si materializza Giovanni Toti. Qualcuno malignamente sussurra: «Sta sempre con Berlusconi o è già passato con Salvini?».

 

L’ex direttore del Tg4 puntella i quotidiani quando prende la parola: «Ogni mattina leggendo i giornali ho una crisi di identità». Al netto degli articoli pubblicati dai giornali, il governatore ligure è più che convinto che il contesto sia favorevole alla vittoria del centrodestra: «Nei sondaggi veleggiamo al primo posto». Il che è una spia positiva, sottolinea Toti, che dovrà essere supportata da uno schema preso. Quale? «Lista unica e primarie normate per legge» sono gli ingredienti che snocciola Toti. Anche perché, gli fa eco Raffaele Fitto, «le primarie non sono solo l’occasione per scegliere un leader di una coalizione, ma per un grande confronto con la gente sui programmi in tutte le piazze d’Italia». La parola poi passa a Giorgia Meloni. È lei l’unica che scalda una platea che non si è mai trasformata in claque. La leader di Fdi fa la sintesi degli interventi precedenti ma tiene a precisare che «io lavoro a una alleanza di centrodestra ampia e credibile, a partire dalla condizione, che non ci può essere alcun accordo con il Pd e che si tengano le primarie». Insomma, no ad Alfano e Verdini, coloro che «sono stati eletti nel centrodestra e poi hanno sostenuto un governo di centrosinistra». Si conclude così un incontro che non ha visto presente nessun parlamentare di Fi. Un segnale di non conto al punto che un senatore di Fi, a tarda sera, sussurra: «Tutti quelli lì Berlusconi non li vuole più vedere».

LA STAMPA

Rating 3.00 out of 5

No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.