Renzi teme che le primarie diventino un referendum su di lui

fabio martini
ROMA

Mancano due mesi esatti al giorno del giudizio, il mondo politico-giornalistico che vive nel Palazzo dà per scontata la vittoria di Matteo Renzi alle Primarie del 30 aprile, ma lui ha già annusato il rischio, un rischio inconfessabile: che negli ultimi 10 giorni l’appuntamento per l’elezione del segretario del Pd possa cambiare natura, trasformarsi in uno sfogatoio, un referendum su di lui. Un bis del 4 dicembre. Con l’arrivo alle urne di elettori non organizzati, interessati soltanto alla sua sconfitta. Due giorni fa il più esuberante degli sfidanti, Michele Emiliano, anche senza parlare esplicitamente di referendum su Renzi, ha fatto capire che la sostanza è quella: «Tutti possono votare, anche chi è del Pd e non è tesserato. Se qualcuno vuole togliersi dai piedi Renzi può votare Emiliano».

 Certo, quella di ieri è stata la giornata nella quale la scissione di Bersani e D’Alema ha segnato il passo: sono nati i nuovi gruppi parlamentari di Democratici progressisti e sono stati resi noti i nomi di deputati e senatori che hanno deciso di uscire dal Pd: i deputati sono 18, una piccola entità se si pensa che a inizio legislatura gli onorevoli di area bersaniana erano tra i 130 e i 140, mentre i senatori usciti ieri sono stati 14, contro i circa 60 bersaniani del 2013.

 

La bagarre congressuale è ancora lontana ma le strategie si sono già delineate. Se il programma politico di Emiliano sembra riassumersi in quella sua espressione «togliersi dai piedi Renzi», il pericolo che le Primarie si trasformino in un nuovo plebiscito è ben presente ai seguaci del segretario. Dice Ermete Realacci, renziano della primissima ora: «Andiamo verso Primarie rivolte agli elettori del Pd e non credo ci siano particolari patemi, ma la vera assicurazione sulla vita per Renzi è rendere più esplicito un cambio di passo. Affrontare questa battaglia rivendicando i buoni risultati del passato, non basta. Renzi è ancora l’unico leader in campo ma serve un nuovo inizio». Emiliano e non solo lui spera che si avveri l’antico adagio «non c’è due, senza tre», con i precedenti del referendum sulle trivellazioni dell’aprile 2016, quando 15 milioni di italiani andarono a votare «contro» le indicazioni del governo. E poi il 4 dicembre sul referendum costituzionale, ribadirono il concetto con più forza.

 

Molto contorta appare invece la previsione di Massimo D’Alema, secondo il quale elettori «organizzati» di Forza Italia e dei Cinque Stelle, voteranno Renzi per assicurarsi in futuro un avversario «facile». Il renziano Gennaro Migliore, sottosegretario alla Giustizia, lo esclude: «Le Primarie per loro natura sono un referendum, ma resteranno Primarie del Pd, perché è sempre stato marginale il fenomeno di elettori che si sono organizzati per interferire. E d’altra parte non ci sono segnali di un voto “contro”». Ma le ragioni per le quali Matteo Renzi può stare (relativamente) tranquillo le spiega Pippo Civati, l’antesignano della invivibilità nel Pd poi imitato da Bersani e D’Alema: «Quella di intercettare gli elettori anti-Renzi è la principale strategia di Emiliano che può avere qualche successo, ma non travolgente per due motivi: Il primo: il suo «esco-non esco» è stato un po’ prolungato e può pesare. La seconda è che a una certa parte di elettorato di sinistra oramai del Pd non interessa più niente, sono demotivati anche nella antipatia. Semmai Emiliano può recuperare voti in quell’elettorato non politicizzato che oscilla tra Pd e Cinque Stelle, quelli che avevano Renzi perché era rottamatore e ora potrebbero votare per rottamare lui».

LA STAMPA

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