Le maschere tragicomiche nella farsa degli appalti
«Che bella festa, che bel mercato. Qui tutto è bello, qui tutto è grato». La Consip è questo.
È teatro. È bazar. È il grande mercato dove comuni, ospedali, ministeri, enti pubblici si vanno ad approvvigionare: carburante e buoni pasto, siringhe, cancelleria e farmaci, imprese di pulizia e tecnici di computer. Alla Consip trovi di tutto e nasce come un ufficio acquisti centralizzato per assicurare alla burocrazia statale il miglior prezzo.
Ma, soprattutto, è la grande madre di tutti gli appalti. È, in pratica, Il mercato di Malmantile, dramma giocoso di Carlo Goldoni in due atti, quello che Domenico Cimarosa ha poi messo in musica con il titolo La vanità delusa. E già in questo c’è tutto il senso di questa storia di politica e affari, di faccendieri e amici di famiglia, di padri e figli. Malmantile non è un’invenzione di Goldoni. C’è, esiste. È un paesino della toscana, un piccolo borgo, anzi una frazione, di Lastra a Signa, in provincia di Firenze, a 44 chilometri da Rignano sull’Arno, ma questa è solo una casualità.
La Malmantile di Goldoni è un luogo di incontri e di intrighi tra popolani e nobili signori, ciarlatani e ingannatori. La Consip, a leggere le carte dei pm, pure. Le assomiglia. Ma qui non si fanno processi, quelli spettano ai tribunali. Quello che però si va a raccontare sono le maschere. L’inchiesta Consip è un canovaccio della commedia dell’arte. E ti suggerisce che se vuoi spazzare il marcio devi rimpicciolire, e di tanto, gli affari di Stato. Il bazar attira personaggi in cerca di fortuna.
C’è Romeo, l’imprenditore napoletano che bazzica fin da giovane il sottobosco della politica. C’è il facilitatore, che dopo una carriera parlamentare si ricicla come lobbista e si ritrova perquisito e indagato per traffico di influenze. È lui, intercettato, che illustra il sistema di malappalti all’italiana. C’è il «prototipatore» Marco Gasparri, architetto e dirigente della Consip, che sa come disegnare gli appalti su misura, una sorta di dottore in legge, dotto, astrologo e sapiente, un Balanzone. C’è l’imprenditore di Scandicci, il farmacista, che come Giangurgolo un po’ millanta e troppo parla. Ci sono Capitan Spaventa e Capitan Fracassa, accusati di spifferare ai padroni della fiera le trame dell’inchiesta e la pericolosità delle maschere truffaldine. C’è chi si affretta a bonificare gli uffici della Consob, perché ossessionato da cimici, microspie e servi origlianti come un Cassandro. C’è il ministro Dulcamara maestro di pozioni magiche e di ricette rigenerative. C’è il giovane Stenterello che ha perso la sua fortuna, ma continua a giocare d’azzardo. E c’è il vecchio Pantalone che non ha avuto il buon senso di farsi da parte, per evitare alle malelingue di dire che le colpe dei padri ricadono sui figli.
Non si sa ancora cosa accadrà quando calerà il sipario. Ma, come sempre accade, le maschere non cadranno e altre maschere verranno a sostituire le vecchie maschere, perché nella commedia dell’arte non si rottama mai. Il sospetto è che la prossima puntata potrebbe scriverla Gogol, come nella storia dell’ispettore generale. In un paesotto tutti sono preoccupati dall’arrivo di un revisore inviato dalla capitale per spulciare i bilanci dei notabili del posto. Qualcuno dice che sia già in piazza. Ma c’è un equivoco. L’ispettore non è l’ispettore. È un giovanotto squattrinato che si fa servire e riverire e ne approfitta per campare a scrocco. È il potere della paura.
IL GIORNALE