Pd, tutte le sponde di Orlando. “È lui l’uomo del dopo-Renzi”

carlo bertini alessandro di matteo
roma

I riflettori sono per Michele Emiliano – il focoso presidente della Puglia ha rapidamente conquistato un ruolo da protagonista nella dura battaglia congressuale Pd – ma è Andrea Orlando lo sfidante sul quale sono concentrate le attenzioni dei renziani. Il ministro della Giustizia ha un carattere pacato, pesa le parole, non alza la voce, ma è la figura che giorno dopo giorno sta tessendo una tela che preoccupa gli uomini vicini a Matteo Renzi.

 Solo ieri mattina, Orlando prima è andato al convegno organizzato da Goffredo Bettini, (storico uomo forte dei Ds a Roma e sostenitore di Matteo Renzi fino a poco tempo fa), poi ha incassato l’endorsement dell’assemblea di Sinistra democratica di Gianni Cuperlo, quindi è planato ad un convegno di Rete Dem, il gruppo che faceva capo a Pippo Civati. Aree diverse ma che sosterranno Orlando al congresso. E alle quali, nel pomeriggio, si è aggiunta una pattuglia preziosa: tutti i parlamentari italiani ed europei più vicini ad Enrico Letta. Che, su impulso di Marco Meloni, hanno presentato un documento a sostegno della candidatura Orlando. Un segnale di non poco conto.

 

È il ministro della Giustizia, per molti maggiorenti Pd, l’uomo giusto per provare ad immaginare un dopo-Renzi, la figura adatta per proteggere il Pd, dato al 27,2% dall’ultimo sondaggio di Ilvo Diamanti. Bettini lo dice esplicitamente: «Ritengo che Orlando possa rappresentare la ricostruzione dopo la rottamazione». Cuperlo ne tesse le lodi: «È un punto di equilibrio, la figura capace di mettere in sicurezza il progetto del Pd». Ad Orlando guarda anche Rosy Bindi ed è noto che anche l’ex presidente Napolitano lo apprezzi molto.

 

Quel «mettere in sicurezza il Pd» è il passaggio chiave che spiega le preoccupazioni di molti renziani: allarmati dai tanti che, nel partito, si chiedono se il Pd sia in grado di sopravvivere all’eventuale declino del renzismo. L’inchiesta Consip può fare male, anche se i più ottimisti tra gli uomini vicini all’ex premier sono convinti che ci sia tempo sufficiente per smaltire i veleni di questi giorni. Ma c’è il timore di un bis dell’effetto-referendum, qualche giorno fa un sondaggio della Ghisleri che prevedeva un’affluenza record alle primarie ha fatto scattare l’allarme tra i franceschiniani: fa paura il «tutti contro Renzi» che potrebbe portare l’ex premier sotto il 50% dei voti alle primarie. A quel punto, da statuto, la parola passerebbe all’assemblea nazionale: e lì sarebbero i maggiorenti del partito a scegliere, con un accordo politico, il nuovo segretario tra i tre in corsa. Orlando, in questo scenario, potrebbe diventare l’uomo giusto, magari col sostegno di correnti che adesso sono con Renzi. Come sempre i sospetti ricadono sull’area di Franceschini.

 

E il ministro della Giustizia già ha cominciato ad interpretare questo ruolo: assicura che con lui non ci sarebbe una «leadership individuale», ma un «gruppo dirigente». Va ripetendo di voler «ricostruire il partito. Non parlerò il linguaggio dei populisti». Definisce la scissione «un tragico errore», ma dice di voler lavorare per «far tornare i compagni che hanno appeso le scarpe al chiodo». E Cuperlo non a caso invita a riporre l’anti-renzismo: la figura di Orlando deve unire, non dividere.

 

David Ermini, renziano doc, esorcizza la paura di un successo a metà: «Non solo sono convinto che Matteo supera il 50% ai gazebo, ma sono certo che in caso contrario nessuno tradirà». Tradotto: in quel caso la corrente di Franceschini esploderebbe. Renzi proverà a ripartire dal Lingotto, con una tre giorni di tavoli tematici stile-Leopolda, durante la quale si rivendicheranno i risultati dei mille giorni di governo. Il ticket con Maurizio Martina annunciato in questi giorni punta a contendere voti proprio a Orlando, a presidiare quell’area di sinistra che non voterebbe mai il «populista» Emiliano.

LA STAMPA

Rating 3.00 out of 5

No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.