Il rischio Weimar e il ruolo del Quirinale

di STEFANO FOLLI

ASCOLTARE il presidente della Repubblica che denuncia “l’inconcludenza rissosa dei partiti”, come è avvenuto pochi giorni fa al Quirinale, aiuta a comprendere a quale livello sia arrivata la crisi italiana. Sono parole pronunciate da una figura istituzionale che ha fatto della prudenza la sua cifra comunicativa, nella perenne preoccupazione di non apparire invasivo. Ma il rischio è che non siano parole sufficienti a correggere la rotta e ad evitare prospettive oscure. Il limaccioso intreccio politico-giudiziario che ruota intorno all’ex premier Renzi tra fughe di notizie e colpi bassi, senza che siano chiari i torti, le ragioni e le responsabilità, costituisce un brutale cambio di paradigma del confronto pubblico. Si dimostra che una stagione si sta esaurendo e ancora una volta ciò avviene in forme drammatiche, aprendo ferite che poi sarà molto difficile rimarginare.

Per cui l’inconcludenza politica di oggi potrebbe trasformarsi domani nel collasso del sistema. È probabile che a questo pensasse Sergio Mattarella: a un domani coincidente con l’avvento della nuova legislatura, dopo elezioni che si terranno alla scadenza naturale, ossia all’inizio del 2018.

Nell’attuale legislatura una maggioranza bene o male esiste intorno al governo Gentiloni, ma la prossima potrebbe nascere nel segno della totale ingovernabilità. Le due leggi elettorali di Camera e Senato, ritagliate entrambe dalle sentenze della Consulta, non sembrano infatti in grado di assicurare un minimo di stabilità ai governi a venire. Si presume anzi che nessuna formula al momento prevedibile abbia i voti necessari in Parlamento, nemmeno la grande coalizione centrosinistra/centrodestra sul modello tedesco.

Si capisce perché: in Germania vige un’ottima legge elettorale, come pure in Francia, sia pure di natura del tutto diversa. Né a Berlino né a Parigi c’è pericolo di restare senza un governo: esistono i problemi politici, ma anche gli strumenti per affrontarli. In Italia invece si sono persi due anni a inseguire il cosiddetto “Italicum”, uno schema farraginoso e ingiusto alla fine dichiarato incostituzionale. E adesso le Camere sembrano non avere l’energia e forse nemmeno la volontà per affrontare la questione in tempo utile. È in corso un grande conto alla rovescia al termine del quale potremmo ritrovarci al buio e pochi dimostrano di averne consapevolezza. Lo scenario che prende forma si chiama Weimar, la Repubblica tedesca che si dissolse nell’inconcludenza rissosa — è il caso di dirlo — fra gli anni Venti e i primi Trenta. L’esito è noto. Rispetto ad allora non siamo devastati da una super-inflazione, ma in compenso abbiamo una serie di conti finanziari in sospeso con l’Europa. Weimar è notoriamente il simbolo stesso del suicidio di una democrazia. Non è quindi azzardato il paragone con il declino italiano di oggi, se questo fosse portato alle estreme conseguenze da un Parlamento paralizzato e incapace di offrire un governo efficiente al paese.

Sappiamo peraltro che nei momenti di crisi politica il Quirinale torna al centro della scena, rappresentando il punto di equilibrio istituzionale e anche morale a cui gli italiani guardano. Siamo ormai entrati in uno di quei momenti, certo uno dei più inquietanti della storia repubblicana, senza sapere quanto potrà durare e quali saranno le incognite che si presenteranno. Gli indizi sono tutt’altro che incoraggianti e non è invidiabile la responsabilità che si va caricando sulle spalle del presidente Mattarella. Per fortuna ci sono ancora alcuni mesi prima della fine della legislatura, mesi che sarebbe da irresponsabili spendere in una sorta di campagna elettorale anticipata di tutti contro tutti. Senza dubbio il presidente del Consiglio, Gentiloni, sa quello che deve fare per convincere gli italiani che a Palazzo Chigi non ci si limita all’ordinaria amministrazione nel pieno della tempesta.

Tuttavia la chiave per evitare Weimar rimane la legge elettorale. Ci si deve augurare che il Pd, o quel che ne rimane, ritrovi al più presto un assetto interno. Che sia Renzi a prevalere o il suo competitore Orlando, la nevrosi degli ultimi tempi dovrà lasciare il campo a una politica di riconciliazione con il mondo del centrosinistra allargato. Altrimenti sarà arduo immaginare una legge elettorale che sia altro da un puro meccanismo proporzionale, senza alcun incentivo alle coalizioni o alla lista, con l’elettorato diviso in modo equanime e nessuna maggioranza possibile sul piano politico e forse persino numerico.

È lecito quindi auspicare che il presidente Mattarella consideri l’opportunità di un suo intervento più incisivo, nelle forme che egli deciderà, per spingere le forze politiche a trovare un accordo. Il sistema senza baricentro, traballante per la crisi del renzismo e del Pd post-scissione, ha bisogno del capo dello Stato. Gli offre anzi l’opportunità

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di far pesare il suo prestigio e la sua influenza sul Parlamento e nell’opinione pubblica come mai dall’inizio del mandato. In fondo gli italiani si aspettano questo dal loro primo cittadino: che rimedi nei modi possibili agli errori delle forze politiche prima del dissesto finale.

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