G7 a Taormina, è corsa contro il tempo
di Roberto Di Caro, foto di Alessio Mamo per L’Espresso
Fanno sempre tutto da sé, gli americani, su questo non si negozia, il loro Commander in Chief mica può arrivare a Taormina su un qualsiasi elicottero italiano AW-101 come gli altri capi di stato e di governo comuni mortali. Così, The Donald atterrerà con l’Air force one alla base aerea militare di Sigonella la sera del 25 maggio e muoverà verso l’eliporto di Taormina con un numero imprecisato di elicotteri stelle e strisce, almeno due civetta, che non si sappia su quale viaggia davvero il presidente degli Stati Uniti, e altri due a svolazzare armati sopra la sua testa per proteggerne l’atterraggio e il trasbordo in auto: americana anch’essa com’è consuetudine, e pazienza se nell’ultima visita di Bush a Roma la sua si piantò per un guasto nel bel mezzo di via del Corso.
La procedura di sicurezza è ben definita, ma forse precorre un po’ i tempi. Atterrerà, l’elicottero di Trump, ma dove? Due eliporti sono previsti qui per il G7 di venerdì 26 e sabato 27 maggio, quando i leader di Italia, Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia (chiunque sarà all’Eliseo dopo il voto) più i presidenti di Commissione europea e Consiglio europeo decideranno i destini del mondo su ambiente e cultura (what? beh, i temi possono sempre cambiare all’ultimo, capita in summit del genere, don’t worry).
Peccato che l’eliporto pensato come definitivo debba sorgere attaccato alla bella piscina comunale in gestione al Corpo volontario di soccorso in mare, su un terreno per il quale il Credito sportivo ha già deliberato 490 mila euro per nuovi impianti di pallacanestro, volley, bocce, calcetto, persino un teatro estivo da 1.670 posti. Via tutto, dispone il sindaco Eligio Giardina, e approva una variante urbanistica per costruire la pista. Non lo può fare, abbiamo un contratto fino al 2026, s’oppone Sandro Gaglio del Corpo gestore. Non è valido, ribatte Giardina, il 9 marzo li sfrattiamo. Abbiamo già fatto ricorso al Tar, comunica Gaglio… In un guazzabuglio burocratico e legale del genere, chi scommette che in due mesi e mezzo la pista sarà pronta e linda per la discesa dal cielo dei padroni del mondo? Per giunta con il tetto della piscina che basta il vento forte a portarsi via i frontalini del tetto figuriamoci le pale degli elicotteri, e i tre alberghi limitrofi sul piede di guerra perché il rumore caccerebbe i clienti.
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Persino al cerimoniale del G7 hanno già messo in conto che si potrebbe ripiegare su un solo eliporto. A un tiro di schioppo dal primo, terreno di un privato, oltre il rosario di villette abusive forse condonate e il vallone con i cavi della funivia che scende a mare in faccia all’Isola Bella, là dove nella Seconda guerra mondiale atterravano le “cicogne” tedesche della Luftwaffe: il Genio militare potrebbe attrezzarlo in tempo e smontarlo a summit concluso.
Quanto ai due chilometri di stradina stretta, tortuosa e oggi impresentabile per salire dall’eliporto al centro città, anche coi salti mortali non è che la puoi trasformare in un boulevard: i Grandi se ne faranno una ragione.
Ridimensionare, sfrondare, tentare di mettere insieme all’ultimo, in un modo o nell’altro, almeno l’indispensabile: sarà pur vero che gli italiani fanno sempre così, arrivano tardi poi nell’emergenza danno il meglio di sé e montano ciò che altri non riuscirebbero mai, ma c’è un limite fisiologico anche all’estro e all’ingegno: più passa il tempo e meno cose puoi fare.
Quando a maggio Taormina fu scelta si cominciò a sognare improbabili liste di opere da chiedere, strade interne, verde pubblico, arredo urbano, un ascensore dal parcheggio Lumbi al centro, la Villa comunale dove il belvedere è franato per una ventina di metri: ma alla presentazione ufficiale il 22 ottobre, appena udì “opere di compensazione” Matteo Renzi a rischio di un attacco di orticaria chiarì di non avere idea di che mai la città dovesse essere compensata per ospitare un vertice che l’avrebbe portata sui media di tutto il mondo. Da allora ci si è attenuti alla lezione della “Sicilia come metafora” di Sciascia: lo scetticismo è la valvola di sicurezza della ragione. Sicché i taorminesi, fatto salvo qualche iracondo allarmato dai disagi, ostentano un pacato e assai siculo senso di attesa senza eccitazione, gli ottimisti, di disincanto senza piagnisteo, i pessimisti.
Giri per i negozi di corso Umberto, tra le ceramiche di Caltagirone, teste d’uomo e di donna incoronate di pesci, limoni e falli, e le vetrine che espongono gli efebici adolescenti nudi ritratti un secolo fa dal barone von Gloeden iniziatore del turismo tedesco a Taormina, e ti suona più accettazione di un fato benigno che occasione su cui investire persino il diffuso convincimento che di tutta la réclame planetaria qualcosa ritornerà bene, nei mesi e forse anni a venire. E poi, per dirla con Antonio Lo Turco, famiglia d’albergatori e negozio d’arte, «che sarà mai questo G7, noi avevamo qui gli Hohenzollern a fine Ottocento, i Windsor ai primi del Novecento, tutti i divi di Hollywood dal dopoguerra in avanti, la Lollo e la Magnani, Truman Capote e Tennessee Williams, e tuttora ogni estate Dolce e Gabbana!».
L’unico rimpianto si chiama Vladimir Putin: «A noi servivano i russi!», attacca Franco Parisi, presidente dell’Associazione imprenditori per Taormina, che riunisce un centinaio di negozi e ristoranti; «Due anni fa pure il busto dello zar Nicola II alla Villa comunale, gli hanno inaugurato. Vengono, i russi, ma meno di prima. E Gentiloni, Putin non l’ha invitato! Prepariamo un appello perché cambi idea e non dia retta alla signora Merkel». Ah, se la politica estera la facessero i commercianti. «E ci dovrebbe interpellare, chi fa la politica. Non avremmo le sanzioni, che danneggiano più noi di loro». Quanto agli alberghi (ce ne sono 90 di cui 11 a 5 stelle, più altrettanti a mare a Giardini Naxos e Letojanni) perderanno nei giorni G7 clienti già prenotati, le gite scolastiche e qualche matrimonio, ma si rifaranno «con i mille delegati al vertice più almeno tremila persone fra security, intelligence, fornitori, 2.500 giornalisti, 2.200 forze di polizia italiane, mentre i 4 mila militari staranno, così dicono, in caserme o su navi», annota Italo Mennella, presidente degli albergatori; l’incognita riguarda semmai i 210 b&b, che ancora non sanno se in quei giorni potranno ospitare clienti in una città blindata.
Il compassato orgoglio di sé con cui Taormina s’appresta a ospitare il G7 è però anche un modo per glissare su ritardi e deficienze. Il sindaco Giardina (giunta civica di centrosinistra, Azienda servizi municipalizzati in liquidazione, piano di rientro dai debiti presentato alla Corte dei Conti) dopo aver lanciato l’allarme sul fatto che ancora non s’era mossa foglia, dice ora che «non abbiamo bisogno di cose spettacolari, solo un’aggiustata al look e qualche opera di abbellimento, teatro e paesaggio sono perfetti così». Deve aver annusato che i 14,7 milioni per lavori, cifra da tutti ripetuta senza che stia scritta su alcun atto ufficiale, non c’è più né tempo né modo di spenderli.
Prendi l’unica via a imbuto che porta al Teatro greco: il giorno 26 alle 19 vi saliranno a piedi e in golf-car gli invitati al concerto d’inaugurazione, Orchestra della Scala, non più di 50 minuti in tutto, solo compositori italiani, Rossini, Verdi, forse Puccini. Anche tolte di mezzo le otto baracchine di gadget e bibite che ingombrano la via, «il manto stradale d’asfalto va rifatto, per pavimentare in pietra lavica servirebbero 70 giorni lavorando sedici ore al dì, e ciò renderebbe impossibile attrezzare il teatro, dotarlo di illuminazione, adeguare gli impianti. Avessimo cominciato a ottobre ce l’avremmo fatta, ora è impossibile: obtorto collo, raschieremo 5 centimetri e stenderemo un “tappetino d’usura”», ragiona il sovrintendente ai beni culturali Orazio Micali, mostra su mille anni d’arte in Sicilia con Antonello e Caravaggio in preparazione a palazzo Ciampoli dov’era un tempo il glorioso night Sesto Acuto.
E che dire del Palazzo dei Congressi coi suoi 998 posti a sedere, dove il concerto si dovrebbe spostare se cadesse una goccia di pioggia? Progettato negli anni Settanta da un ingegnere navale con i sotterranei che paiono un sommergibile e gli impianti idrici accanto a quelli elettrici, l’agibilità non l’ha avuta mai, vi si tengono una settantina di eventi l’anno, tutti in deroga. Era nella lista dei lavori da fare, costo sui 4 milioni di euro, ma in due mesi non è più immaginabile. Gli daranno una ripulita sperando nella clemenza del meteo.
L’unica cosa che s’è mossa per tempo è la sicurezza. «È dall’anno scorso che polizia, carabinieri e finanza controllano ogni casa, specie quelle con due ingressi, e censiscono ogni persona per fornire i pass per noi residenti», racconta Pina Malambrì, rammemorando i tempi in cui per strada volavano gli schiaffi tra Liz Taylor e Richard Burton, tutto in “La dolce vita”, archivio del marito Vittorio fotografo di sessant’anni del Taormina film festival. Ma il rischio terrorismo islamico è alto. I militari, VI Lancieri di Aosta con base a Francavilla, al momento appena una cinquantina, cresceranno fino a 4 mila.
Con due sole strade d’accesso Taormina risulta essere, a detta di tutti, facilmente blindabile, ma dentro è un dedalo di scale e stradine dai nomi storici come Largo degli eponimi o Vico Cacciola Cagnola. Poi ci sono i No-G7, costellazione di una ventina di sigle e movimenti No-Muos, No-ponte, Cobas, Rete antirazzista, centri sociali e collettivi studenteschi: «In assemblea alla biblioteca di Giardini Naxos abbiamo deciso di tenere un controvertice internazionale con il greco Varoufakis, Vandana Shiva, Paul Connett dei rifiuti zero e altri. E una manifestazione dura ma pacifica a Taormina il 27 durante il vertice», dicono Luca Cangemi e Rodolfo Barbera, del piccolo ri-neonato Pci.
Non gliela faranno fare, naturalmente. Senza lasciapassare, nessuno potrà entrare in città.
«Ma l’organizzazione si sta impegnando perché in quei giorni tutti i negozi siano aperti e nei momenti di libertà ospiti e delegati possano passeggiare in una città viva», ne è certo Leonardo Visconti di Modrone, l’ambasciatore che già organizzò il G7 di Napoli del ‘94 e la presidenza italiana Ue nel 2003, qua in veste di consulente. Le mogli dei leader? All’Aquila non erano invitate, si presentò Carla Bruni Sarkozy e dovettero improvvisarle una visita ai terremotati, qui ci saranno pure due mariti, tre se vince la Le Pen. Il presidente Mattarella? Quando G7 o G8 erano di tre giorni la seconda sera il presidente della Repubblica offriva il pranzo di gala, ma su due giorni ancora non si sa. Le altre delegazioni? In passati vertici furono invitati Fondo monetario, Nazioni Unite, Gheddafi, Mubarak, vari capi di stato africani. Per Taormina il governo deve ancora decidere, l’orientamento è di privilegiare anche stavolta i rapporti con l’Africa subsahariana, certo è che non li puoi invitare il giorno prima. Intanto è tutto un viavai di inviati d’ambasciata dei vari paesi, a visionare e scegliere alberghi e spazi di lavoro. Moderati gli inglesi, i francesi e i tedeschi: ciascuno si porterà una cinquantina di persone tra politici, delegati, medico, capocerimoniale, interprete, fotografo personale, addetti alla sicurezza, comunicazione. Grandiosi i giapponesi: saranno un centinaio e hanno chiesto un centro stampa separato. Un esercito gli americani, si suppone non meno di 500, che stanno rastrellando stanze da qui a Catania: è un pezzo di amministrazione che viaggia col presidente.
Comunque sia, chiude l’ambasciatore Visconti di Modrone, «la zona rossa sarà limitata all’area dei lavori, in primis l’hotel San Domenico che ospiterà gli incontri al vertice. Perché, vede, uno s’immagina chissà che, ma alla fine sono nove persone che decidono attorno a un tavolo, e dietro ciascuno un tavolino con gli assistenti…».
L’ESPRESSO