Renzi sfida D’Alema: sono altri che hanno scheletri nell’armadio
Renzi è arrivato ieri mattina a Roma in treno da Firenze e ha subito incontrato il capogruppo al Senato Luigi Zanda. «Andiamo dritti al voto sulla mozione di sfiducia. Non dobbiamo non temere nulla. Prima si vota meglio è. Non dobbiamo dare l’idea di volere rinviare», gli ha detto. Così la sfiducia dei 5 Stelle a Luca Lotti è stata calendarizzata al Senato per il 15 marzo. Poi l’ex premier ha visto l’altro capogruppo, Ettore Rosato: gli ha chiesto di convocare al più presto l’assemblea dei deputati, come vuole Francesco Boccia, sostenitore della candidatura di Michele Emiliano, per ascoltare il ministro dello Sport sulla vicenda Consip. «Luca ci andrà volentieri e avrà molte cose da dire». L’ex premier spiega ai suoi più stretti collaboratori che non bisogna avere paura di nulla e di nessuno, che bisogna anzi andare all’attacco perché non c’è nulla da nascondere. «Sono altri che hanno scheletri nell’armadio», precisa il leader dei Democratici che non a caso ieri ha rilanciato, con un articolo sul Sole 24 ore, la richiesta di istituire la commissione d’inchiesta sul sistema bancario.
«Aspettiamo con curiosità – scrive Renzi – che il Parlamento approvi la commissione di inchiesta sulle banche. Sarà interessante per capire le vere responsabilità. Per me la trasparenza è un concetto irrinunciabile. Spero lo sia anche per tutti gli altri partiti e soggetti coinvolti». Renzi vuole indagare sull’acquisizione della Banca 121, istituto del Salento (ex feudo elettorale di D’Alema), di Antonveneta, pagata circa 9 miliardi di euro dal Monte dei Paschi. E poi sollevare il velo su Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, sui «comportamenti scorretti dei vertici degli istituti per troppo tempo sottovalutati o tollerati, anche a livello locale».
Renzi mette la Lega nel mirino e quando parla di dodici mesi di lavoro per la commissione d’inchiesta ammette che si andrà a votare nel 2018 e di aver rinunciato alle elezioni anticipate. Parlando con i suoi collaboratori, spiega di essere tranquillo nel suo rapporto con Gentiloni. È sicuro che non verranno alzate le tasse. Gentiloni ha fatto di più: il premier ha prospettato la riduzione delle tasse sul costo del lavoro. Per Renzi questa è la condizione migliore per fare una campagna congressuale all’attacco e affrontare le elezioni nel 2018 con un messaggio positivo e forte: si riducono le tasse e si crea nuova occupazione. La vicenda giudiziaria Consip oggi lo preoccupa di meno. È sicuro che babbo Tiziano non abbia commesso reati. Ma è stato il figlio a chiedere al padre di annullare l’assemblea del Pd a Rignano e, soprattutto (anche in maniera ruvida), di tenere d’ora in poi un profilo più basso. «Avanti con determinazione», è il messaggio che ieri Renzi ha dato alle truppe. «Se qualcuno pensava di farmi calare la testa ha sbagliato di grosso», ripete. Ma c’è una cosa che Renzi non riesce a digerire: l’atteggiamento degli scissionisti bersaniani che non voteranno la mozione di sfiducia, ma chiedono a Gentiloni di togliere le deleghe a Lotti. È come chiederne le dimissioni. Renzi ricorda quando sul banco degli accusati finì Vasco Errani (anche lui scissionista) e lui lo difese. E quando Errani venne assolto lo nominò commissario per il terremoto.
«Avanti senza tentennamenti». Anche sulla sua candidatura a segretario Pd Renzi dice di essere tranquillo. Ha in mano un sondaggio sulle primarie che lo vede quasi a 65%. Ha perso solo due punti con la vicenda Consip. Emiliano è al 20, Orlando al 15. Se poi le cose dovessero proprio andare male e non raggiungesse il 50%, «c’è sempre la possibilità essere eletto segretario nell’Assemblea nazionale». Non crede che si potranno sommare i voti dei delegati di Emiliano e Orlando: due minoranze che eleggono un segretario è una cosa che non si è mai vista.
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