E adesso vogliono votare a maggio del 2018
Roma – In politica, si sa, gli scenari cambiano continuamente. E così se fino a poche settimane fa si leggeva del tentativo di Matteo Renzi di portare gli italiani alle urne nel prossimo mese di aprile, ora nei corridoi di Montecitorio si parla sì di aprile, o addirittura maggio, ma del 2018.
È questa la nuova data su cui si ragiona in Parlamento, quella che non dispiacerebbe né alle forze governative, né alle opposizioni. Parlamentari di diversi partiti portano varie ragioni a sostegno delle urne primaverili. La prima – in ottica Pd – è che ormai è maturata la certezza che sarà il governo Gentiloni a fare la Legge di Stabilità. Trattandosi di misure che certo non faranno sorridere gli italiani e le loro tasche, stemperarne nel tempo l’effetto negativo risulterebbe sicuramente cosa gradita. Il secondo aspetto è quello meteorologico. Votare in primavera favorirebbe, infatti, l’accesso ai seggi elettorali anche nei paesi di montagna. Il terzo elemento è la possibilità di accorpare le Politiche con le elezioni regionali previste nel 2018 (si vota in Lombardia, Lazio, Molise, Basilicata oltre alle regioni autonome Friuli, Trentino e Val d’Aosta). Se non si vuole costringere il Paese a una campagna elettorale permanente, ragionano a Montecitorio, l’election day potrebbe essere una soluzione ragionevole, oltretutto con un forte risparmio per le casse dello Stato. Inoltre, spiegano, votare in soluzione unica semplificherebbe il quadro di alleanze e candidature.
Naturalmente bisognerà capire cosa ne pensa Sergio Mattarella. Per votare in primavera il Capo dello Stato dovrebbe portare la legislatura fino alla sua scadenza naturale. La Costituzione stabilisce che Camera e Senato abbiano una durata di cinque anni dalla data della loro prima riunione, terminata la quale è necessario tornare a votare, entro 70 giorni dalla fine della legislatura.
L’inizio della XVII legislatura è avvenuto il 15 marzo 2013 con la prima seduta di Camera e Senato. La data ultima per il voto sarebbe dunque il fine settimana del 19 e 20 maggio. Mattarella, però, potrebbe anche decidere di sciogliere le Camere anticipatamente come fece Giorgio Napolitano con il governo Monti (si votò il 24 e 25 febbraio, un unicum nella storia repubblicana).
Se l’urgenza di tornare alle urne – cavallo di battaglia renziano – si è ormai stemperata, anche i toni adottati dal governo Gentiloni appaiono sempre più in antitesi con la retorica altisonante del segretario del Pd. Non è passato inosservato, in questo senso, il realismo del premier al Senato in vista del Consiglio europeo. «Non seminiamo illusioni, perché il tema dell’immigrazione non lo cancella neanche il mago Merlino», le sue parole. In questa chiave molti leggono anche la telefonata tra Romano Prodi e Andrea Orlando, raccontata da La Stampa e interpretata come un endorsement per il ministro della Giustizia. Renzi, comunque, in serata a Porta a Porta conferma il suo appoggio al governo. «Lo abbiamo già detto in tutte le salse. L’importante è che si facciano le cose. C’è il pieno accordo con Gentiloni e siamo tutti impegnati a sostenerlo. Fino al febbraio 2018 il percorso della legislatura è previsto dalle leggi dello Stato». E poi una battuta sul suo non essere «disoccupato». «Non scherziamo con queste cose. Io ho le mie iniziative, un libro, sono professore universitario, ho una piccola realtà imprenditoriale. Sono diverso dagli altri politici».
IL GIORNALE